Gli occhi spiritati di Schillaci per un rigore non dato. La serpentina di Baggio contro la Cecoslovacchia. Le feste in piazza dopo le vittorie azzurre. Notti magiche prima della serata tragica. Napoli divisa. Maradona e Caniggia e Goycochea. Poi l’uscita sbagliata di Zenga e la delusione, forse la più grande di sempre, per l’eliminazione in semifinale. Sono le immagini di copertina di un ipotetico libro dal retrogusto amaro. Titolo possibile: ‘Mondiali Italia ’90, storia di un’occasione persa’. Perché l’eredità del torneo non si misura con il misero terzo posto della nazionale di Vicini. Il flop fu soprattutto organizzativo: tra costi esplosi e ritardi, le opere realizzate (almeno quelle che non sono state abbattute) erano e restano l’emblema dello spreco. Eppure fu un’edizione epocale, anche e soprattutto dal punto di vista sociale e geopolitico. A trent’anni esatti da allora, raccontiamo – a modo nostro – l’Italia, l’Europa e il mondo di quei giorni. Le storie, i protagonisti, gli aneddoti. Di ciò che era, di cosa è restato. (p.g.c.)

“Ma cos’è che hai disegnato? Non mi piace per niente quella roba là”. Gigi Riva glielo dice in faccia, in maniera piuttosto diretta. Sono seduti sul pullman che deve portare la delegazione fino al Quirinale. Perché in quel giorno di novembre del 1986 il presidente della Repubblica Francesco Cossiga è pronto a svelare alla nazione il nome della mascotte di Italia 90. Lucio Boscardin ascolta le parole di Riva e sorride. Incassa e fa finta di niente. Perché ‘quella roba là’ si chiama Ciao. Ed è uscita proprio dalla sua matita. Basta un rapido sguardo per capire che quell’atleta stilizzato con un pallone al posto della testa è una mascotte diversa da tutte le altre. Un’opera astratta in un settore dominato da animaletti in maglia e pantaloncini, da un campionario di pupazzetti che alla fine si assomigliano po’ tutti. Ciao, invece, ha un tratto moderno. È tridimensionale, è la traduzione su carta di un’idea, anticipa il futuro, racconta alla perfezione di un Paese che vuole offrire un Mondiale molto tecnologico. Ma, soprattutto, Ciao è una mascotte che ha diviso gli italiani. Ha fatto innamorare molti, ha fatto storcere il naso a qualcuno ma è stata capita davvero da pochi. A distanza di trent’anni, non sembra ancora aver esaurito la sua carica. Tanto che un portale come ESPN l’ha definita la migliore mascotte della storia dei Mondiali. Così abbiamo fatto due chiacchiere con Lucio Biscardin per capire meglio la nascita di Ciao e scoprire la storia di quel ragazzo che, dopo essere arrivato a Milano con la quinta elementare, è stato in grado di tratteggiare un’icona pop del nostro Paese.

Biscardin, Pininfarina ha presentato “Ciao” come una mascotte “moderna, stilizzata e astratta”. Eppure in molti non sembrano averla capita fino in fondo.
Direi proprio di no. Il giorno in cui è stata svelata, nel novembre del 1986, Pininfarina fece un bellissimo discorso e sentire lui che spendeva certe parole per il mio lavoro mi ha commosso. Però durante la presentazione qualcosa non ha funzionato.

Cosa è andato storto?
Al Quirinale c’erano circa 400 persone, la crema d’Italia. Solo che hanno visto questa enorme figura stampata su un telo alto tre metri. Alla luce del giorno non si distinguevano neanche i colori e molti l’hanno osservata pure di sbieco. Ovvio che non l’abbiano capita, sinceramente non è piaciuta neanche a me. Per apprezzare davvero Ciao lo dovevi toccare, lo dovevi vedere in tre dimensioni.

L’ispirazione per Ciao le è venuta guardando un semaforo. Qual è il processo mentale che trasforma tre luci in una mascotte?
Dovevo andare a un appuntamento ed ero bloccato in auto a viale Buenos Aires. Avanzavamo 50 centimetri alla volta, può immaginare. Ero fermo e fissavo le luci di questo semaforo. Mi sono detto: “Verde e rosso, sembra la bandiera dell’Italia!”. Visto che sono un libero professionista mi porto sempre dietro carta e matita, così ho provato a imbastire una mascotte che avesse la nostra bandiera.

Sì, ma Ciao è un atleta stilizzato, come ci è arrivato?
Ho scritto Italia sul mio quaderno dei bozzetti e ho visto che la parola era composta da 10 bastoncini. Li ho fatti “cadere” uno alla volta verso il basso e il gioco era fatto, ecco che si era formato un atleta. Dato che mancava la testa ci ho messo un pallone. È stato piuttosto complicato perché il bando diceva che non potevano essere usati simboli territoriali o personaggi storici. Creare qualcosa di originale senza usare Garibaldi, Mazzini e la pizza non era un’impresa facile. Molti hanno mandato un bozzetto con dei piatti tipici. Erano molto belli, ma avevano tutti un carattere regionale. Così sono stati eliminati.

In un Paese dove si cerca sempre un santo in paradiso un grafico di 43 anni partecipa a un concorso e vince sbaragliando quasi 50mila concorrenti. Sembra una favola a lieto fine
Io ho partecipato pensando che poi, alla fine, avrebbe potuto anche vincere qualche amico di… Invece mi sono dovuto ricredere. Ma il merito credo che sia anche delle regole della Fifa.

Perché è la Fifa a redigere il bando, giusto?
Sì e questo è un punto focale. La Fifa organizza i Mondiali e impone al Paese ospitante di fare un concorso per scegliere mascotte e logo. Chiaramente in ogni edizione uno va a vedere quelli che erano i disegni precedenti e propone qualche variazione. Quando ho visto il regolamento ho notato che era nutrito di parole, erano quattro fogli. Diceva che non ci dovevano essere riferimenti politici, economici e regionali, doveva essere un disegno che rappresentasse la Nazione. Ma già così ti mancavano le “sostanze” su cui lavorare. C’è stata una prima scrematura, perché la giuria non poteva visionare le opere di tutti e 50 mila i bozzetti. Dovevano arrivare in un formato 50×70, si rende conto solo dello spazio necessario?

E alla fine dopo la preselezione ce l’ha fatta
Credo di aver vinto perché sono riuscito a trasmettere bene la mia idea alla giura.

Gli italiani sono stati chiamati a scegliere il nome per la mascotte fra Amico, Beniamino, Bimbo, Ciao e Dribbly. Lei ha votato?
Certo. La votazione è durata un mese ed era abbinata al Totocalcio. Io ho votato subito Ciao che era una parola più internazionale, ma non mi dispiaceva anche Amico.

Gigi Riva non ha apprezzato molto Ciao. Candido Cannavò ha scambiato la mascotte per un “Pinocchietto”. Che le ha detto il presidente della Repubblica Cossiga, invece?
Ricordo la cerimonia di presentazione. Io ero in terza fila. Davanti a me c’erano Agnelli, un porporato e Matarrese. Poi c’erano calciatori e altra gente che non sapevo neanche chi fosse. Cossiga mi ha stretto la mano e mi ha fatto i complimenti. Ma sa che non mi ricordo di preciso cosa mi ha detto?

Almeno si ricorda un complimento che le hanno fatto per Ciao?
Non saprei. Ma un complimento vorrei farmelo io, posso?

Prego…
Quando sono arrivato a Milano ero un ragazzo con la quinta elementare. Poi in un anno ho fatto le medie. Sono stato rimandato in cinque materie che ho dovuto riparare a settembre. Ho studiato di notte, il sabato e la domenica. Perché con la quinta elementare facevi l’operaio, anche se io li ho fatti tutti i “lavoracci”. Questa è la cosa che mi rende più orgoglioso. Non ho studiato grafica e da semplice lavapennelli che lavorava in uno studio di un grafico sono arrivato a fare cose notevoli.

Anche oltre il calcio, giusto?
Certo. Ho lavorato alla Lintas, l’agenzia pubblicitaria della Unilever che all’epoca era la decima azienda mondiale. In quel periodo stavano studiando una nuova veste per il Cornetto Algida, che era tutto giallo. Sembrava fatto con la carta dei macellai. I migliori grafici italiani ci hanno lavorato per due anni, ma non andava bene niente. Così mi hanno chiesto di proporre qualcosa. In 15 giorni ho presentato una ventina di bozzetti, ispirati a Andy Warhol e alle sue serigrafie. Alla fine la mia idea è stata approvata immediatamente ed è durata per 20 anni. Solitamente un progetto del genere cambia ogni 3-4 anni. Può immaginare la mia gioia.

Secondo lei Ciao è stato sfruttato a pieno?
Devo dire che hanno fatto più o meno ogni tipo di gadget, ma sono sicuro che si poteva fare di più. Per esempio un mobile. Ci pensa? Ciao poteva diventare una poltrona fantastica, qualcosa in grado di anticipare i tempi. Il problema è stato che l’Italia non ha vinto i Mondiali.

Però è stato sul punto di lavorare ancora con il calcio
Nel 1991 sono stato chiamato a studiare un progetto per il nuovo logo della FIGC. Ho fatto un disegno che è stato accettato e mi hanno dato l’ok per presentarlo il 3 settembre 1991. Solo che due giorni prima mi hanno chiamato dicendo che c’erano brutte notizie. Qualcuno aveva inviato una diffida perché la Federazione aveva contattato un privato, mentre avrebbe dovuto indire una gara. Così hanno ripreso il vecchio logo e, a distanza di qualche mese, hanno fatto un concorso al quale hanno partecipato 10 studi. Io ho preparato un lavoro diverso da quello che era stato accettato alla fine ha vinto il logo con la palla blu. A tutti gli studi è stato riconosciuto un rimborso spese, ma chi ha vinto ha guadagnato 50 milioni. Se avessi vinto mi sarebbe cambiata la vita.

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