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di Andrea Taffi

C’è una parola che esprime forza, fermezza, ma anche pacatezza, tranquillità. Una parola che talvolta è abusata, mal impiegata, persino inappropriata. Quella parola è dignità. La dignità è uno stato dell’animo, un sentimento che può anche ingannare; già, perché sembra facilmente riconoscibile: quando qualcuno la vuole esprimere, quando si atteggia a farlo, tutti noi (a prima vista) gliela riconosciamo, quella dignità, gliela vediamo dipinta in volto, gliela percepiamo nel tono della voce. Eppure non è così, e ce ne accorgiamo solo quando la dignità la percepiamo veramente, quando ne vediamo il vero volto, quando ne ascoltiamo la vera voce.

A me tutto questo è successo quando, in televisione, ho sentito le parole della mamma e del babbo di Giulio Regeni, intervistati da Diego Bianchi (in arte Zoro) nel corso della sua trasmissione “Propaganda live” in onda su La 7. Devo dire la verità: non la stavo guardando, quella trasmissione, la stavo sentendo, mentre, in una stanza di casa mia vicina a quella dove si trova il televisore, stavo lavorando al computer.

Ho sentito quelle parole di Paola e Claudio Regeni, quella dignità della quale erano espressione, e mi sono alzato, sono andato davanti al televisore e, in piedi (in piedi), ho ascoltato quello che stavano dicendo. Parole, precise e pesantissime, di una mamma e di un babbo di un ragazzo, cittadino italiano, torturato, ucciso e gettato per strada, quattro anni e mezzo fa, dalla polizia di uno stato (autoritario), l’Egitto, uno Stato al quale lo Stato italiano (lo stesso di Giulio Regeni) ha venduto due navi da guerra, compravendita che, peraltro, è una parte di una commessa militare più ampia e molto remunerativa.

“Traditi dal fuoco amico”, questo hanno detto Paola e Claudio Regeni. E lo hanno detto con una pacatezza, una tranquillità, ma anche una forza che, io, al posto loro, non avrei saputo esprimere. Io avrei espresso solo disprezzo per un potere che si nasconde, e rabbia, tanta rabbia. Anche loro, la mamma e il babbo di Giulio Regeni, l’avevano quella rabbia, ma la loro monumentale dignità l’ha placata, ha placato tutto il resto.

Quando i genitori di Giulio Regeni hanno finito il loro intervento e la trasmissione di Diego Bianchi è continuata, io sono rimasto in piedi, fermo, davanti al mio televisore, e mi sono vergognato. Sì, vergognato. E non sarà certo la ragion di Stato; non saranno gli interessi economici e politici internazionali, le relazioni diplomatiche che sembrano stare sopra ogni cosa; non saranno le resistenze delle autorità egiziane, le loro menzogne a farmela passare quella vergogna, a darmi il pretesto per metterla da parte.

Una cosa sola me la farà passare: la verità. Una verità sulla morte di Giulio Regeni che, mio caro Stato italiano, non saranno certo le commesse militari o qualsiasi altro affare con l’Egitto a far venire fuori.

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