Gli occhi spiritati di Schillaci per un rigore non dato. La serpentina di Baggio contro la Cecoslovacchia. Le feste in piazza dopo le vittorie azzurre. Notti magiche prima della serata tragica. Napoli divisa. Maradona e Caniggia e Goycochea. Poi l’uscita sbagliata di Zenga e la delusione, forse la più grande di sempre, per l’eliminazione in semifinale. Sono le immagini di copertina di un ipotetico libro dal retrogusto amaro. Titolo possibile: ‘Mondiali Italia ’90, storia di un’occasione persa’. Perché l’eredità del torneo non si misura con il misero terzo posto della nazionale di Vicini. Il flop fu soprattutto organizzativo: tra costi esplosi e ritardi, le opere realizzate (almeno quelle che non sono state abbattute) erano e restano l’emblema dello spreco. Eppure fu un’edizione epocale, anche e soprattutto dal punto di vista sociale e geopolitico. A trent’anni esatti da allora, raccontiamo – a modo nostro – l’Italia, l’Europa e il mondo di quei giorni. Le storie, i protagonisti, gli aneddoti. Di ciò che era, di cosa è restato. (p.g.c.)

Il palmo della mano destra sull’ombelico, quello sinistro all’altezza della testa. Careca balla. Balla a qualche centimetro di distanza dalla bandierina del calcio d’angolo. Balla una danza che non ha nessuna traccia di allegria. Eppure, solo qualche secondo prima, l’attaccante aveva scartato Ravelli e aveva spinto in rete il pallone del vantaggio carioca. Il fatto è che in quella serata del 10 giugno 1990 i brasiliani non hanno molta voglia di festeggiare. Anche se hanno appena battuto 2-1 la Svezia nella prima partita del Gruppo C dei Mondiali italiani.

Anche se il passaggio del turno assomiglia molto a una semplice formalità. A fine partita Careca dribbla i cronisti italiani e marca stretto quelli sudamericani. “L’idea della lambada non è una mia invenzione – spiega – Guardateci, stiamo addosso all’avversario e intanto cerchiamo un modo per colpirlo. È un ballo terribile. Non siamo più la squadra del samba e del futebol bailado“. E ancora: “Anche la mia danza vicino alla bandierina ha un significato. Non ho una ballerina, devo sfogarmi come posso, ho il gol erotico“.

È da quasi un anno che sulle teste dei verdeoro si addensano nuvoloni neri. Tutto è iniziato nella notte del 3 settembre del 1989, in quel tempio sacro chiamato Maracanà. Brasile contro Cile. In palio c’è un posto nella fase a gironi di Italia 90, ma una delle due nazionali verrà macchiata dal fuoco dell’infamia. Perché la Roja deve vincere a tutti i costi. Eppure, a 20’ dalla fine, i verdeoro sono ancora avanti 1-0. Poi, all’improvviso, un boato scuote il terreno di gioco. Un bengala è caduto davanti Roberto Rojas, il portiere del Cile. E ora il Condor è a terra con il sangue che gli si cola sulla faccia. I giocatori ospiti protestano con l’arbitro, affermano che non ci sono più le condizioni per giocare in sicurezza, lasciano il campo. Tutto intorno si scatena un finimondo che va avanti per diverse ore. Quando il Cile lascia il Maracanà è sicuro di aver vinto a tavolino. E di aver prenotato un posto al Mondiale.

Tutto cambia qualche giorno più tardi, quando comincia a circolare una foto scattata da un reporter brasiliano. La Fifa la osserva e capisce che c’è qualcosa che non quadra, la fissa e decide di aprire un’inchiesta. Perché quella foto dimostra che il bengala è finito a qualche metro da Rojas. Le indagini svelano il mistero. Una ragazza di 23 anni, Rosenery Mello do Nascimento, si era nascosta il bengala nelle mutandine ed era riuscita a eludere i controlli all’ingresso dello stadio. Poi lo aveva acceso e l’aveva lanciato in campo, a pochi metri dalla porta. “Non aspettavo altro – ha raccontato anni dopo il Condor a Quattrotretre.it – mi gettai a terra, come se fossi stato colpito da un proiettile, e mentre mi passavo le mani sul volto afferrai un piccolo bisturi che avevo sistemato in un’intercapedine dei guanti e mi tagliai la fronte. Zic! Un colpo netto e deciso”.

La Fifa chiude il caso. E restituisce il maltolto al Brasile. Solo che il ripristino della giustizia sembra portarsi dietro una maledizione. Perché da quel momento in avanti tutto inizia a girare storto per i verdeoro. L’avvicinamento al Mondiale è un calvario. Soprattutto nell’ultimo mese. A metà maggio la squadra di Lazaroni è in ritiro a Teresopolis. Una pioggia fitta obbliga il cittì a far giocare la consueta partitella in palestra. All’allenamento partecipa anche il neo presidente Collor de Mello. Prima della fine il politico decide di calciare un rigore. Taffarel si scansa goffamente pur di far segnare il presidente che sorride soddisfatto. Poco più tardi la rete televisiva Globo annuncia i risultati di un sondaggio condotto su un nutrito campione di tifosi: è Renato il calciatore con le gambe più belle di tutto il Brasile. Sono i momenti più alti della preparazione.

Perché quella sera i verdeoro vanno in campo nell’amichevole contro la Germania Est. Finisce 3-3. E i primi sorrisi cominciano a sparire dalla faccia di tifosi e giocatori. L’arrivo in Italia dovrebbe servire a voltare pagina. Dovrebbe, appunto. Perché le nuvole sembrano seguire il Brasile anche nel Bel Paese. La prima parte del ritiro si svolte a Gubbio, con la squadra che dorme in un ex convento dei frati cappuccini con tanto di cellette trasformate in piccole camere lussuose. Lazaroni, intanto, ordina allenamenti a porte chiuse. Ha paura che gli avversari possano spiare il suo sistema di gioco. Un sistema di gioco che, in patria, non piace davvero a nessuno. Difesa a tre, Mauro Galvao come libero e due esterni a tutta fascia. Praticamente è come difendere in 5.

Un’idea che in Brasile suona come una bestemmia urlata nel centro di una chiesa. I ritmi di allenamento sono intensi, così il 26 maggio la squadra decide di concedersi una serata di svago. Il teatro della parentesi ricreativa è una discoteca di Gubbio e ci sono anche i due ambasciatori brasiliani. Careca e Ricardo Rocha si muovono a ritmo di lambada, ma la grande attrazione è un’altra. Alcuni cani vengono divisi in due squadre. Un gruppo indossa la maglia dell’Italia, l’altro quella del Brasile. Le due formazioni si affrontano in una combattutissima partita di calcio. E le cronache raccontano di un successo di misura dei quadrupedi azzurri. Il 28 maggio, a Terni, si gioca la classica amichevole contro una rappresentativa locale. Serve a mettere minuti nelle gambe e a far fare bella figura ai verdeoro.

Peccato però che a vincere è la “Top Umbria”, una selezione di calciatori di Serie C, che si impone 1-0 grazie a un gol di Artistico. Le critiche cominciano a grandinare. Così Lazaroni tiene a rapporto per tre ore i suoi calciatori. Gli vieta sesso, alcol e notti in bianco. Ma promette anche di cambiare il modo di lavorare. “Penseremo meno all’atletica e baderemo più al calcio e alla velocità”. Solo che nel nuovo ritiro di Asti non tutti sembrano credergli. Per Dunga il vero problema sono gli schemi dell’allenatore: “Non riusciamo mai a portare i centrocampisti al tiro – dice – il peso dell’attacco è tutto su chi sta davanti, dobbiamo trovare una manovra più corale”. Critiche che non sembrano essere condivise dai tifosi carioca che, secondo un sondaggio GalluppDoxa, sono i più ottimisti.

Più del 63%, infatti, pensa che la squadra di Lazaroni vincerà il Mondiale. Il 6 giugno si gioca un’altra amichevole particolare. L’avversario è il non irresistibile Astisport, ma il commissario tecnico del Brasile sembra comunque preoccupato. È seccato perché nessuno gli ha detto che in questa squadra di dilettanti gioca anche Paolo Rossi. Serve un brain-storming per convincerlo che si tratta di un caso di omonimia, che il Pablito che andrà in campo non è l’eroe del 1982 ma un istruttore Isef. L’inizio del Mondiale viene visto come una liberazione. I brasiliani seguono la fida inaugurale fra Camerun e Argentina ed esultano al gol di Omam Biyik. Poi due giorni dopo vanno in campo e battono 2-1 la Svezia.

L’Albiceleste diventa presto un’ossessione per i verdeoro. Tanto che Lazaroni non lesina commenti. “Maradona è un fenomeno anche con le mani – dice dopo la sfida fra Argentina e URSS – la mano sinistra gli serve per segnare, la mano destra per parare i tiri in porta”. Prima della seconda partita, quella contro il Costa Rica, Pelè ci tiene a far sapere il suo parere. “Mi fa pena Galvao – spiega – come libero non sa difendere, ma nemmeno andare avanti. Lazaroni? Il suo difetto non sta nel copiare il calcio italiano o tedesco, ma nel pensare che questa rivoluzione ci porterà lontano”. Le parole di O Rey non piacciono a nessuno. “Pelé è solo un ex. O torna a giocare o stia zitto” dice il cittì. “Pelé dice solo stupidaggini” risponde Muller. “Non ce ne frega niente” giura Dunga. E invece Pelé non ha tutti i torti.

Contro il Costa Rica il Brasile vince grazie a un’autorete di Montero. Romario, spedito in tribuna, non è fra i più soddisfatti. “Abbiamo fatto pena – dice – abbiamo uno schema di gioco assurdo”. Per l’ultima gara del girone, contro la Scozia, Lazaroni vuole cambiare quasi tutti gli uomini. Entra in sala riunioni per dare la lieta notizia ai suoi. Ne esce più di mezz’ora dopo con un’idea molto diversa: ci saranno solo due novità. Si dice che i senatori dello spogliatoio, gli unici che ancora credono in lui, si siano opposti fermamente. E al commissario tecnico non è rimasto altro che fare marcia indietro. Anche contro la Scozia non c’è traccia di spettacolo. Finisce 1-0 grazie a un gol di Muller all’82’.

Ora, agli ottavi, il Brasile affronterà l’Argentina. Una sfida che arriva troppo presto. Una sfida che può già trasformare tutto in fallimento. Per questo Lazaroni si porta sempre dietro una agendina verde. Gli serve per annotare tutti i nomi di chi l’ha criticato in questo anno. Gli serve per annotare tutti gli indirizzi a cui inviare una cartolina il giorno in cui porterà il Brasile sul tetto del mondo. Si gioca il 24 giugno. Alle 17. Quello che è stato definito il Brasile più brutto di sempre dura 80’. Poi Caniggia viene pescato da Maradona, dribbla Taffarel e mette in porta il gol dell’1-0. È la rete della vittoria. È la rete che mette fine al sogno verdeoro. E che fa partire la damnatio memoriae di Lazaroni.

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