Gli occhi spiritati di Schillaci per un rigore non dato. La serpentina di Baggio contro la Cecoslovacchia. Le feste in piazza dopo le vittorie azzurre. Notti magiche prima della serata tragica. Napoli divisa. Maradona e Caniggia e Goycochea. Poi l’uscita sbagliata di Zenga e la delusione, forse la più grande di sempre, per l’eliminazione in semifinale. Sono le immagini di copertina di un ipotetico libro dal retrogusto amaro. Titolo possibile: ‘Mondiali Italia ’90, storia di un’occasione persa’. Perché l’eredità del torneo non si misura con il misero terzo posto della nazionale di Vicini. Il flop fu soprattutto organizzativo: tra costi esplosi e ritardi, le opere realizzate (almeno quelle che non sono state abbattute) erano e restano l’emblema dello spreco. Eppure fu un’edizione epocale, anche e soprattutto dal punto di vista sociale e geopolitico. A trent’anni esatti da allora, raccontiamo – a modo nostro – l’Italia, l’Europa e il mondo di quei giorni. Le storie, i protagonisti, gli aneddoti. Di ciò che era, di cosa è restato. (p.g.c.)

Abu Nidal, l’Ira, Junzo Okudaira, le brigate antimperialiste internazionali, più svariate sigle di casa nostra: non solo gli stadi da completare e i cantieri infiniti, pure il terrorismo teneva in apprensione gli organizzatori dei mondiali italiani del 1990. Pochissime le ore di sonno che alla vigilia e durante il primo turno di quei mondiali toccarono all’allora governatore della Sardegna, il democristiano Mario Floris. A Cagliari avrebbe giocato la nazionale inglese, peraltro con avversarie come Eire, in un periodo in cui la tensione era ancora fortissima sulla questione Irlanda del Nord, come l’Egitto e l’Olanda, che problemi diplomatici con l’Inghilterra non ne aveva, ma un buon numero di tifosi amanti della birra sì. Dall’Inghilterra avevano messo in guardia: “Abu Nidal vuol fare un attentato, ha nel mirino la nazionale inglese, potrebbe colpire al Sant’Elia o all’aeroporto Elmas di Cagliari”.

Abu Nidal, palestinese e membro di al-Fatah, era stato cacciato dall’organizzazione con l’accusa di aver ordito un complotto ai danni di Arafat e aveva fondato il Consiglio rivoluzionario di al-Fatah (Frc). A capo di questa organizzazione aveva già compiuto numerosi attentati (oggi se ne contano circa novanta), tra questi il dirottamento del Pan Am 73, con 20 passeggeri morti, e la strage di Fiumicino del dicembre 1985, quando furono assaltati voli di compagnie israeliane e americane con 13 morti e 70 feriti. Preoccupatissimo, Floris scrisse più volte al presidente del Consiglio e al ministro dell’Interno di allora, Andreotti e Gava, per sensibilizzarli sulla questione.

Ma il timore di attentati terroristici non arrivava solo dalla Sardegna: a quei mondiali partecipavano anche gli Usa, per la prima volta dal 1950, e in quarant’anni, tra Guerra Fredda e conflitti armati, gli States qualche antipatia se l’erano creata. E per ovvie ragioni in Italia, alla nazionale di Tony Meola e Paul Caligiuri, andava garantita una protezione speciale: massima attenzione dunque per le minacce che arrivavano, da quelle meno serie a quelle decisamente più preoccupanti, come nel caso dei due terroristi giapponesi che avevano già fatto scuola in Italia e alla loro organizzazione. Junzo Okudaira, membro dell’Armata rossa giapponese e poi delle Brigate antimperialiste internazionali, aveva già compiuto un attentato ai danni della United States Organization di Napoli nel 1988, quando fece esplodere un’autobomba che uccise 5 persone e ne ferì 15, e forse colpì allo stesso modo l’ambasciata Usa a Roma. Con lui c’era un altro terrorista giapponese: Tsutomi Shirosaki. I due, dopo gli attentati compiuti a Napoli e Roma, erano diventati latitanti: una preoccupazione in più, in particolare con un evento mondiale sul territorio e in considerazione della partecipazione della nazionale Usa.

Si aggiungevano gruppi, gruppetti e cani sciolti nostrani che protestavano per questo o quel motivo: ad esempio per le antenne Rai installate per potenziare il segnale e fatte saltare in aria in Toscana, probabilmente da chi le considerava inquinanti.

Nell’arco della manifestazione per fortuna non si verificò alcun attentato terroristico e grossi problemi non li crearono neppure gli hooligans inglesi che trovarono pane per i loro denti, con la polizia italiana, sia in divisa che in borghese, già preparata ad accogliere i britannici dividendoli in gruppi ristretti e togliendo loro la possibilità di mettere a ferro e fuoco la città.

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