Il punto è semplice: le politiche verdi davvero efficaci hanno un costo, monetario, ma anche politico. “Pensare a politiche ambientali senza impatto finanziario vuol dire non farle, o peggio, farne una retorica vuota”, ha rinfacciato il ministro Pd per il Sud Giuseppe Provenzano al suo ex segretario Matteo Renzi, dominus della nuova formazione Italia viva. Che cosa è successo? Renzi si è schierato contro la tassa sugli imballaggi di plastica monouso, a cominciare dalle famigerate bottigliette per l’acqua minerale. Il 18 ottobre, alla Leopolda – nello stesso giorno in cui prometteva che avrebbe piantato un albero per ogni scritto al suo movimento – l’ex presidente del consiglio si è schierato contro la misura che dovrebbe entrare nel “Green New Deal” del governo Conte: “Non è mettendo una tassa sulla plastica che cambia il mondo”, ha proclamato, annunciando battaglia in Parlamento contro la maggioranza a cui appartiene. Posizione in sé legittima, se non fosse che solo l’anno scorso Renzi andava dicendo: “Combatteremo sempre l’inquinamento da plastica”, in replica a chi lo criticava per l’introduzione dei sacchetti bio nei supermercati.

Il 13 agosto, mentre alla nascita del Conte-bis lo stesso Renzi citava l’economia circolare e verde come terreno comune con il Movimento 5 Stelle, la sua fedelissima ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova si adoperava per dare il via libera al trattato di scambio con il Canada, il famigerato Ceta, che gli agricoltori italiani e le associazioni eco-bio-green vedono come il cavallo di Troia della peggior chimica industriale applicata agli alimenti. A proposito di acqua e bottigliette: l’Italia è prima in Europa per consumo, con 192 litri pro-capite, che tradotti in impronta ambientale fanno quasi un milione di tonnellate di CO2 l’anno, più tanta plastica che si ricicla appena per un terzo, un sacco di trasporti su gomma e quant’altro. I produttori più importanti si danno da fare per ridimensionare il danno d’immagine, peccato che si siano già beccate condanne per pubblicità ingannevole: la Ferrarelle presentata “a impatto zero” solo perché 26 milioni di bottiglie erano state compensate con una riforestazione; la San Benedetto versione “Eco-Green“, che ha solo meno plastica e il 50% viene dal riciclo; e la “Bio-Bottle” della Sant’Anna, una buona invenzione che non è proprio tutta pronta per l’umido e comunque ci mette tanto a compostare.

A volte l’ipocrisia climatica si nasconde nei dettagli, nei tecnicismi delle burocrazie, ed è più difficile snidarla. A metà giugno l’Italia ha ricevuto dall’Ue il via libera definitivo alle norme, scritte dal ministero dello Sviluppo economico retto dal leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio, insieme ad Arera (l’Autorità indipendente di regolazione per energia, reti e ambiente) e Terna (proprietaria della rete elettrica), per varare il cosiddetto “mercato della capacità” nel quale gli operatori elettrici potranno vendere allo Stato la loro capacità di produzione. “Uno strumento che incentiva di fatto una corsa alla realizzazione di nuove centrali alimentate ancora a fonti fossili”, denunciano conti alla mano Assoutenti, Casa del Consumatore, Greenpeace, Legambiente, Wwf e Italia Solare. Quest’ultima, insieme ad alcuni operatori, hanno fatto ricorso al Tar.

INDIETRO

Cambiamenti climatici? Tutti green ma solo a parole. Ecco come media e politici pompano l’ambientalismo, ma nascondono notizie scomode ai grandi inquinatori

AVANTI
Articolo Precedente

Fridays for future, centinaia di scarpe davanti al Comune di Torino per la Giornata dell’ambiente: “Dopo virus si cambi modello economico”

next
Articolo Successivo

Clima, Luca Mercalli sul Gran Paradiso per Sono le Venti (Nove): “Con estate calda perdiamo parte del ghiacciaio, CO2 mai stata così alta”

next