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di Stella Saccà

In questi giorni di isolamento mi è capitato spesso di ascoltare i rumori. “Quali rumori hanno in comune le mie due città?” ho pensato. La lavatrice che centrifuga? Sì. Decisamente sì. Ho chiuso gli occhi e ho sentito il profumo dei detersivi che usa mia madre, persino di quelli ecologici che profumano meno e un po’ mi dispiace e glielo faccio sempre notare.

Le ambulanze? No. Qui hanno un suono diverso. Quelle romane sono più dolci, più calme, più stanche, più romane. Queste ti stritolano l’orecchio e ti fanno scattare anche se sei sul divano, queste sono… più newyorkesi.

Il rumore dello skateboard sul marciapiede? No. Non è comune a Roma lo skate come mezzo di trasporto. I clacson? Sì. Isterici sia qui che a Roma. Il ticchettio del gas per cucinare? Sì, è lo stesso sistema e mi ricorda quando a Roma faccio il caffè. Giusto quello, perché a Roma non cucino quasi mai. Le moto che sfrecciano? Sì. Le serrande che si abbassano? No. Qui non ci sono le serrande, ma le tende. E un po’ lo preferisco perché chiudere una serranda è più definitivo, sa di addio. Una tenda che si chiude invece sa di arrivederci, e fa sentire meno soli.

La musica a tutto volume dalle macchine? No. Qui è quasi sempre il Reggaeton. A Roma direi più musica elettronica, o commerciale. I cantieri? Sì. I bambini che piangono? Sì. I cani che abbaiano? Sì. La sirena del ferry boat? No. A Roma non la sento mai, qui la sento fin da casa. E mi piace. A volte dimentico che l’acqua vicino cui abito viene dall’oceano, e il suono della sirena vuoi o non vuoi profuma di mare.

Il rumore delle posate? Sì. Gli applausi? Sì. Un applauso può avere tanti suoni ma due mani che battono fanno ovunque lo stesso rumore. E poi c’è il silenzio. Che non è mai lo stesso. Perché quando lo noti lo hai già sporcato con i pensieri, e i pensieri non sono mai gli stessi. Anche se lo sembrano. Ci seguono nel cambiamento che subiamo senza accorgercene minuto dopo minuto.
Con discrezione. Apparentemente senza fare troppo rumore.

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