“La correlazione di per sé non è sufficiente, deve essere validata attraverso una serie di procedure, come ad esempio la falsificazione (è vero che dove non c’è inquinamento non c’è mortalità?) e la conferma di causalità. I giornali in questi giorni hanno fatto grandi sforzi per spiegare rudimenti di statistica ed epidemiologia, ma non hanno mai speso tempo a spiegare concetti base del ragionamento scientifico, come correlazione, probabilità, grado di accuratezza, causalità diretta”, spiega Serena Giacomin, presidente di Italian Climate Network.

“Con il risultato che un’ipotesi diventa un fatto accertato nel giro di poche ore, rimbalzando sui social di tutto il mondo, o che una correlazione spuria diventi una certezza incontrovertibile”. Errori che possono fare perdere tempo prezioso o accantonare altre tematiche d’indagine importanti.

La verifica e la comprensione dei fatti e del ragionamento scientifico è estremamente importante oggi. I social media possono diffondere disinformazione a grande velocità copiando i post da fonti che non sono affidabili e possono causare il tipo di ‘infodemia’ che abbiamo osservato nelle ultime settimane”, continua Serena Giacomin.

Per Jacopo Pasotti, giornalista ambientale e Media Advisor alla Venice International University “ci sono numerosi colli di bottiglia nella comunicazione scientifica. Innanzitutto il fatto che giornalisti non specializzati seguano questi temi, senza una preparazione – e questo è anche un problema di mentalità dei direttori e capiredattori. Ci sono giornalisti esperti di calcio o di economia che seguono questi temi. Perché non ci sono per l’ambiente e la scienza?”.

Sussiste poi un problema di canali. “La maggior parte della disinformazione viene dal pullulare di media minori che lavorano a costi ridotti e produzione elevatissima, con nessun controllo. Il nodo è l’economia del mercato dei media”. C’è poi un problema di comprensione delle fonti. Un report di una ong può non avere lo stesso peso di uno dell’Unep, così come un position paper non è una pubblicazione su The Lancet. Questo vale anche per il pubblico, che deve imparare a riconoscere le fonti più autorevoli”.

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