Habemus l’app di tracciamento anti Covid-19. Si chiama Immuni e già nel nome ci suscita qualche dubbio, dal momento che sarà un’app che riconoscerà tecnologicamente (si spera) gli infetti dal coronavirus. Un po’ come se un’app per recarsi in ospedale si chiamasse “Guarito”, oppure “ma sai che stai veramente bene, ti vedo in forma?”.

Il fatto ci è stato comunicato qualche giorno fa a mezzo stampa dalla pletora di nuove figure istituzionali diffusesi con la stessa rapidità del coronavirus, nonostante nessun cittadino (e il Parlamento) abbia avuto la possibilità di leggere le valutazioni tecniche alla base della scelta della relativa app da parte del governo.

Nessuno, a parte chi l’ha scelta e chi l’ha creato, sa come funzionerà, quali tipi di dati del cittadino tratterà, dove verranno conservati e da chi.

Eppure, tutti si sono stracciati le vesti nel dire che il sistema sarà volontario e non prevederà alcun obbligo per il cittadino. Il che ci fa supporre che chi parla di volontarietà non abbia effettuato un test sulla diffusione di app simili in Italia e nel mondo.

La media di “scaricamento” delle app anti-Covid va dall’8 per cento della popolazione della Lombardia al 18 per cento degli abitanti di Singapore, ove il direttore dei servizi digitali del governo ha parlato senza mezzi termini di un fallimento degli strumenti di tracciamento tecnologico.

Una stima ben lontana dalla soglia del 60 per cento della popolazione necessario per ritenere efficace il sistema. Senza contare che una buona fetta della popolazione italiana è composta da over 70 e che nel numero degli abitanti devono essere ricompresi anche i minori.

Ora a meno che non vengano forniti servizi connessi all’app del genere cartomanzia e servizi per adulti, appare veramente improbabile che la popolazione italiana si getti in massa a farsi tracciare dal dispositivo anti-Covid. Così come appare improbabile che la popolazione italiana over 70 si lanci alla ricerca di Immuni sugli app store, tra un app per la dieta dimagrante ed un’altra per l’aerobica o quella per la gestione dei cicli di sono.

Ed ecco allora l’idea geniale che è cominciata a circolare in queste ore: rendere l’app “spintanea”. Ovvero tu puoi decidere se scaricartela, ma se non lo fai sarai soggetto a limitazioni ad esempio negli spostamenti. Oppure puoi decidere di scaricare il software ma se vuoi uscire di casa devi usare quell’altra app che ti consente di autocertificare i motivi dello spostamento in digitale, attraverso Spid, da mostrare alle autorità in caso di controllo.

I più avveduti sembra, avrebbero anche proposto l’uso di un braccialetto elettronico, come ha già fatto il Liechtenstein, in ciò “deformando” quanto il Garante privacy aveva detto qualche tempo fa a proposito degli anziani fragili ospiti delle case di cura che potevano essere controllati a distanza per evitare che si allontanassero.

Visto quello che è successo nelle case di cura recentemente peraltro non siamo cosi sicuri che il braccialetto elettronico sia esattamente il problema. E chissà chi ha formulato questi argutissimi suggerimenti, che consentono di ritenere formalmente rispettato il requisito della volontarietà.

In tutto ciò il Parlamento non è stato investito della questione e gli atti di adozione allo stato sembrano essere ordinanze, o al più decreti ministeriali, sottratti ad un controllo parlamentare e della collettività. Al punto di aver indotto il governo, secondo i ben informati, a preparare una norma primaria d’urgenza.

Staremo a vedere.

Il cittadino in ogni caso assiste passivo ad una serie di affermazioni contraddittorie senza poter esercitare il controllo diffuso sugli atti delle istituzioni, dal momento che fra le altre cose, con l’emergenza è stata sospeso anche il Foia, freedom of information act.

Ci manca solo che qualcuno, per spingere l’uso delle app di tracciamento, le sottoponga a concorsi o giochi a premi, tipo la lotteria degli scontrini, poi la parabola del popolo bue, ma dotato di braccialetti elettronici, è completo.

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