Mia figlia è una dura. Una tosta. Fiera, spavalda, sicura. Non è come me, che ho la lacrima facile. Per esempio stamattina, quando ho letto che ci ha lasciato Luis Sepùlveda, un sommesso pianto si è fatto strada tra il groppo in gola e le ciglia, ed è uscito fuori, senza remore. Piangere è liberatorio.

Lei no, lei non batteva mai ciglio e non dico che mi stessi preoccupando però, insomma, un minimo di empatia in più me la sarei aspettata, avrei voluto almeno sentirla tirar su col naso alla fine di un film commovente. Invece mai. Poi un giorno siamo entrate in libreria a fare un giro e a scriverlo così mi fa piangere anche questo, perché sembra di parlare di un altro mondo, un’altra vita.

Mi è sempre piaciuto lasciarla curiosare, scegliere, farsi ispirare da un titolo o una copertina. E’ stata la libraia a consigliarla, vedendola ondeggiare indecisa e le ha messo in mano una copia della Gabbianella e il Gatto. Ce l’avevo, ma è uno di quei libri che avevo prestato a scuola a un alunno e non gliel’avevo chiesto indietro perché gli era piaciuto tanto. Lo ricomprerò, mi ero detta. Ho lasciato mia figlia in piedi davanti allo scaffale intenta a iniziarlo, quando siamo arrivati alla cassa l’aveva praticamente finito, avevo paura di rompere la magia ma era ora di andare.

Intanto però il cestino si era riempito di altri libri dello stesso autore, di quelli dedicati ai bambini, con i titoli lunghi che danno voce agli animali e insegnano l’amore e il rispetto della natura. Bisogna essere grandi per saper parlare ai piccoli. Con uno di quei libri l’ho vista girellare per casa parecchio tempo. Era Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa. Se lo portava dietro e non lo finiva mai. Qualcosa la infastidiva.

Ho aspettato. E’ una favola delicata e poetica, il mito del grande capodoglio color della neve che ha il compito antico e misterioso di proteggere il mare; è una storia che fa sentire in colpa gli uomini per quanto poco hanno saputo e sanno rispettare le acque. E’ anche una vicenda drammatica perché parla di balenieri, di arpioni, di morte. Bisogna esser grandi anche per spiegare la morte ai piccoli.

Alla fine, l’ho visto succedere: due calde lacrime sono scese su quelle guanciotte e la copertina si è chiusa di scatto. “Mamma, questo libro fa piangere”. “Spesso i libri lo fanno, tesoro. E’ una cosa buona, vuol dire che hanno toccato una corda sensibile. Ma ti è piaciuto?”. “Sì, tanto”.

Grazie, signor Sepulveda. Grazie per essere stato l’uomo che ha insegnato a mia figlia a commuoversi sulle pagine di carta. Bisogna esser grandi per riuscire a parlare ai piccoli delle cose grandi.

*professoressa presso l’Istituto professionale Lombardi (Vc). Autrice della pagina Facebook Portami Il Diario

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