L’incubo che Nazanin Zaghari-Ratcliffe sta vivendo da quattro anni potrebbe terminare presto e nel migliore dei modi possibili: abbracciata a Londra a suo marito Richard e alla loro figlia, Gabriella, che oggi ha poco meno di sei anni.

Nazanin è una cittadina irano-britannica, project manager della Thomson Reuters Foundation, un ente non-profit che promuove il progresso socio-economico, il giornalismo indipendente e lo stato di diritto.

Arrestata il 3 aprile 2016 a Teheran al termine di una visita ai genitori con la piccola Gabriella, ha trascorso quattro mesi in isolamento senza poter contattare un avvocato per poi, a settembre, essere condannata senza alcuna prova a cinque anni di carcere per “appartenenza a un gruppo illegale”, nell’ambito del quale avrebbe partecipato alla “definizione e alla realizzazione di progetti multimediali e informatici finalizzati alla caduta ‘morbida’ del governo”.

Nel corso di questi anni in carcere le sue condizioni fisiche e psicologiche sono peggiorate. Ha più volte intrapreso scioperi della fame contro la detenzione. Recentemente sono comparsi noduli al seno.

A metà marzo Nazanin ha ottenuto il permesso di trascorrere alcuni giorni fuori dal carcere. In quello stesso periodo le autorità iraniane hanno annunciato, nell’ambito delle misure per evitare la diffusione del Covid-19 nelle carceri, la grazia per tutti i prigionieri condannati per reati contro la “sicurezza” – molti dei quali dunque per motivi politici – a un massimo di cinque anni, e hanno promesso che coloro che avevano ottenuto permessi non sarebbero rientrati in cella.

Il permesso di Nazanin è stato prolungato fino a metà aprile: deve mantenere un braccialetto elettronico e non allontanarsi di oltre 300 metri dall’abitazione dei genitori. Ma forse la fine dell’incubo è vicina.

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