Il fronte occidentale della guerra al Covid-19 si trova a Tortona, in provincia di Alessandria. In questa terra di passaggio tra la Lombardia, la Liguria e l’Emilia, il virus ha iniziato a mietere vittime fin dai primi giorni di marzo. E il comune ha dovuto affittare un container frigo per gestire l’alto numero di bare che ogni giorno arrivano al cimitero: “Per rendersi conto del numero dei morti basta fare il confronto con l’anno passato – spiega il sindaco Federico Chiodi – nel mese di marzo 2019 avevamo avuto 20 decessi, il numero è salito a 110”. Quattro volte tanto rispetto all’anno passato.

Il Covid-19 non ha risparmiato nessuno in queste terre. Neanche le suore della Congregazione di Don Orione. Sono morte in sei dall’inizio della pandemia. E il servizio di polizia municipale è stato sospeso a causa dell’alto numero dei contagi. “La vicinanza con la Lombardia ha giocato un ruolo importante nel diffondersi del virus” spiega il commissario dell’Ospedale di Tortona, Giuseppe Guerra. È stato mandato qui per gestire il primo Covid Hospital piemontese: “Siamo passati da quaranta a oltre cento pazienti”. Il pronto soccorso è stato chiuso e i pazienti vengono portati qui dagli altri ospedali. “Si tratta di degenze lunghe e vissute in solitudine – racconta una delle infermiere Marzia Damiani – noi siamo le uniche finestre con il mondo esterno per loro e oltre alle cure gli offriamo sostegno psicologico che è fondamentale per la guarigione”. Negli scorsi giorni sono stati dimessi i primi pazienti: “Stiamo cercando di dimettere i pazienti che hanno superato i momenti di crisi – spiega il commissario Guerra – ma che sono ancora in attesa dei tamponi negativi e dunque che sono ancora contaminati. Per far questo stiamo approntando una rete di strutture tra pubblico e privato che possano accogliere queste persone”.

Nell’ospedale intanto si lavora senza sosta da giorni su turni da dodici ore. Ma da poco si è riuscito a introdurre un cambio dei dispositivi di protezione a metà turno per dare una tregua agli infermieri. “Qui siamo tutti impegnati in prima linea, dottori, infermieri, fisioterapisti, guardiani, ma il problema più grande è che ci si ammala” spiega un’altra infermiera, Rosanna Lobosco. I dispositivi di protezione arrivano grazie all’Unità di Crisi di Torino e al canale parallelo delle donazioni del Comune, delle aziende del territorio e del comune cinese gemellato con Tortona. Ma all’inizio dell’emergenza la situazione non era facile. “Sembrava di stare come gli alpini in guerra” scherza con amarezza il medico di base Marco Guerra. Sta aspettando di fare il tampone da settimane, mentre diversi suoi colleghi si sono ammalati. “A differenza della guerra, qui non ci sono sirene che avvertono prima del bombardamento, il nemico è ovunque”. A mezzogiorno c’è chi mette musica dal balcone per salutare i propri vicini, mentre i volontari organizzati dal Comune stanno distribuendo la spesa e i farmaci alle persone in isolamento e a chi non è autosufficiente. “Quello che mi preoccupa di più, oltre alla gestione dei malati e dei risvolti economici – conclude il sindaco – è la gestione psicologica delle persone ovvero riuscire a capire fino a quando riusciranno a tenere duro i nostri concittadini”.

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