Nello studio della psicoterapeuta, studio virtuale ma, si sa, per l’inconscio il tempo e lo spazio non esistono, sta succedendo qualcosa di paradossale. Forse non così strano per chi ad esempio abbia letto certi passi di Jacques Lacan sul “reale”. Sta di fatto che il virus, in una percentuale non trascurabile di casi, cura le nevrosi.

Un andamento controcorrente, che all’inizio ho ritenuto aneddotico: una eccezione, che di solito conferma la regola, e in questo caso, allora, la regola del trauma che innegabilmente può derivare dal vissuto dell’epidemia e della conseguente quarantena. A lungo ne ho parlato e non vi è dubbio che questo rischio esista.

Ma, a fronte di questo, sull’altro versante che ogni medaglia inevitabilmente ha, sto assistendo ad un numero significativo di trasformazioni interiori accelerate, catalizzate letteralmente dall’emergenza. Emergenza è quel che si rende visibile dall’invisibile, crisi è opportunità, trauma è rottura, di un equilibrio ma anche di una catena. Ad esempio la catena degli im-piegati stipati nella metropolitana alle otto del mattino, la catena della corsa frenetica in giro per la città, la catena del tempo zeppo di impegni, del consumo senza pensiero. E più in fondo, più giù, più dentro, la catena del rifiuto della realtà.

Torniamo per un attimo a Lacan, ma prima ancora a Husserl, Heidegger, Derrida. Cos’è il reale? Da un certo punto in poi, con la postmodernità, il reale è stato solo il soggettivo, nessun oggetto con cui confrontarsi, nessun altro in cui riflettersi, nessuno spigolo di realtà contro cui sentire il confine. L’illusione del tutto, facile, subito. Niente più categorie, ideologie, contenitori, niente più Dio, lo disse già Nietzsche: il preludio del liberismo, economico in stile Thatcher, ma anche sociale, psicologico, antropologico, che non è libertà.

Libertà esiste con il limite, piacere esiste con il desiderio che il limite pone. Senza limite, dove tutto è possibile, dove tutto è pretesa, il desiderio muore, con esso la libertà di muoversi per realizzarlo e il piacere di raggiungerlo.

Il Covid-19 è probabile che non lo sappia, ma per una percentuale non trascurabile di persone sta curando il malessere del “senza limite”, del “senza reale”. Ecco perché: il malessere psichico è in ultima analisi difficoltà di stare al mondo, incapacità di accettare l’umano e il naturale e il loro continuo controcanto, rifiuto della vita e della realtà così come essa è. Il malessere psichico deriva dalle difese che poniamo al dolore che la vita ci mette di fronte nei suoi percorsi.

Ma quando, come adesso, la tua vita si interseca con la storia, quando la tua sofferenza è quella di tutti, in un gioco di sovrapposizioni dove nessuno è escluso, dove per quanto lontano tu fugga tutto il mondo è coinvolto, non c’è più difesa che tenga davvero. Allora le vie sono solo due: o la strenue resistenza della difesa, che sfocia nella negazione del dato reale o nel tentativo di spostamento dell’angoscia (da cui le posizioni che banalizzano il problema o quelle che prendono la deriva complottista), oppure la caduta della difesa che segna l’appuntamento di ciascuno con la Storia, con la Vita. Allora quello è l’attimo fuggente in cui la nevrosi può essere superata.

Edward Luttwak, citato da un mio paziente che appunto questa trasformazione la sta vivendo ora, ha parlato di Covid-19 come del virus della verità, riferendosi naturalmente agli Stati, che l’epidemia sta smascherando nei valori e negli intenti. Ma un individuo non è diverso da uno Stato. L’irruzione del reale fa il re nudo: ti fa vedere chi sei davvero, chi sono gli altri davvero e il coraggio della verità cura la nevrosi, figlia del suo nascondimento, figlia dell’illusione di poter evitare il limite, il tragico, il reale, figlia delle bugie che ci diciamo.

La prima bugia è pensare che la vita sia garantita: non lo è. La vita è un desiderio di viverla così grande da accettarne il rischio, per questo in psicoterapia chi viene cerca la risoluzione di un conflitto, e invece quel che trova è il tuffo giù nelle profondità di quel contrasto.

Ora che la mente non può trovare scappatoie perché il bagno di realtà è troppo caldo per non sentirlo, esiste la concreta occasione di risolvere la propria relazione con la Vita, accettandone il limite che è l’unico portatore di significato, di desiderio, di piacere, di libertà di scelta.

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