Dati sottostimati. Pazienti invisibili e morti non classificate. Da giorni il dubbio che l’epidemia di Covid 9 sia più vasta e profonda di quanto apparisse era presenti sui media e nelle richieste di sindaci e amministratori. Oggi oltre alla pubblicazione dei primi dati Istatche indica che il numero dei decessi al Nord è raddoppiato con una stima del 337% per la sola Bergamo – c’è l’analisi più ampia ed estesa a 1080 degli 8000 comuni italiani dell’Istituto Cattaneo di Bologna. Alla domanda su quanti decessi in più ha provocato l’epidemia nel nostro paese, l’Istituto risponde che “il numero di decessi riconducibili a Coronavirus in Italia risulta comunque il doppio di quello a cui si arriva sulla base dei numeri relativi ai pazienti deceduti positivi al test per Covid-19, comunicati dalla Protezione Civile“. Il confronto dei dati riguarda il periodo 21 febbraio-21 marzo e la media dello stesso periodo relativa al precedente quinquennio 2015- 2019.

Infatti al 21 marzo 2020 i pazienti deceduti positivi al Covid-19 erano 4.825, ma la differenza, rilevata dalla nostra analisi, tra i decessi nel 2020 e la media dei decessi nel periodo 2015-2019, per il periodo che va dal 21 febbraio al 21 marzo, era già 8.740. E questo valore fa riferimento a un campione che include solo mille degli oltre 8mila comuni italiani, equivalenti a 12,3 milioni di abitanti su un totale di 60,4 milioni. Anche sotto un assunto di massima prudenza, in base al quale nei rimanenti 7mila comuni non dovessero rivelarsi scostamenti rispetto alla mortalità media degli anni precedenti, il numero di decessi riconducibili a Coronavirus in Italia risulta comunque il doppio di quello a cui si arriva sulla base dei numeri relativi ai pazienti deceduti positivi al test per Covid-19, comunicati dalla Protezione Civile.

Nelle regioni del Nord fino al 75% di morti in più – Il semplice confronto di questi due valori, spiegano i ricercatori, rivela le dimensioni della crescita della mortalità e la variabilità territoriale di tale crescita. In Lombardia il numero di morti nel periodo considerato è stato più che doppio rispetto allo stesso periodo nei cinque anni precedenti. In Emilia-Romagna la crescita è stata superiore al 75%, mentre in Trentino-Alto Adige e in Piemonte è stata comunque superiore al 50%. Il Sud e le Isole non risultano immuni a queste percentuali. La variazione del numero di morti, secondo l’analisi dell’Istituto nel Sud e Isole è stata del 40,2%, un valore pari a quello del Veneto, e superiore al 35% registrato dalla Liguria.

I ricercatori hanno osservato anche la variazione nella mortalità tra uomini e donne. La maggiore vulnerabilità degli uomini al coronaviru è ormai nota. Ma per gli studiosi anche l’osservazione delle differenze nella crescita dei decessi tra uomini e donne rivela, tuttavia, l’esistenza di differenze territoriali non trascurabili. Queste sono molto consistenti nelle regioni del Nord (sono più che doppie in Trentino-Alto Adige), più deboli dove la crescita è stata relativamente più contenuta, come nel Centro Italia, nulle al Sud. La crescita dei decessi si è innescata tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo. Il numero di morti prende a salire rapidamente ben oltre i valori precedenti.

A iniziare è la Lombardia alla fine di febbraio, seguita dall’Emilia-Romagna ai primi di marzo. La crescita appare più lenta in Piemonte, in Veneto e nel Centro. Il caso del Sud merita qualche considerazione a parte. I dati confermano che anche al Sud e Isole, pur con dimensioni più contenute, già a partire dagli inizi di marzo, si era verificato uno scostamento rispetto all’andamento pre-crisi, e che un altro è iniziato dopo la fine della seconda settimana, e sarebbe ancora in corso.

Le città con più decessi. Non solo BergamoLe cronache dei giorni scorsi hanno riportato come alcuni città siano state più colpite. Nessuno dimentica la sfilata di mezzi militari impegnati a trasportare dal territorio di Bergamo decine di bare. La città lombarda e con Piacenza, Parma o Brescia, sono da tempo al centro dell’interesse degli osservatori. Ma ci sono altri centri Pesaro, Cremona, Biella, sono rimasti finora lontani dai riflettori. La crescita della mortalità è stata superiore anche in altre aree, lontane da quelle considerate focolai di contagio, e che probabilmente questi decessi sono avvenuti tra le pareti domestiche e senza che venisse condotto il test per rilevare la presenza del virus. Anche nel caso delle città, le serie temporali rivelano lo scostamento della mortalità dall’andamento precedente all’emergenza. Nei comuni capoluogo considerati, la crescita dei decessi si innesca tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo, e nella seconda settimana di marzo raggiunge un picco.

Il numero di morti, infatti, prende a salire rapidamente ben oltre i valori precedenti, prima a Bergamo e Piacenza, poi a Brescia, Milano e Parma e infine, dopo la prima settimana di marzo, a Pesaro, dove il picco non sembra però ancora essere stato raggiunto.

I casi accertati nel mondo hanno superato quota 87mila, e i morti oltre 43mila, con
l’Italia a guidare questa triste classifica con 12.428 casi. Sono ormai 180 (su 206, quindi
l’87%) i paesi nel mondo che hanno dichiarato la presenza di casi di Covid 19 all’interno
del proprio territorio. Ed è di oggi la notizia che in Cina si teme una nuova ondata di contagi.

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