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Coronavirus, alla Milano Fashion Week 80% di operatori cinesi in meno. “Potrebbe essere l’anno nero del lusso: a rischio lo 0,3% del Pil italiano”

Il mondo della moda fa i conti con le conseguenze dell'epidemia: i consumatori cinesi rappresentano più di un terzo del mercato ma molti grandi marchi da Versace a Gucci hanno dovuto chiudere i punti vendita in Cina. Il presidente della Camera Moda: "L'impatto è ancora sconosciuto ma rende incerte le previsioni: potrebbe essere peggio dell'anno della Sars, in 6 mesi potremmo perdere anche 230 milioni di euro"

di Ilaria Mauri e Beatrice Manca

China, we are with you. Il coronavirus non risparmia neanche la settimana della moda di Milano – in programma fino al 24 febbraio – e così questa edizione sceglie come slogan un messaggio di solidarietà nei confronti del Paese colpito dall’epidemia e fa aprire le sfilate autunno-inverno per la prima volta a uno stilista cinese, Han Wen, l’unico che assieme Anna Yang di Annakiki è riuscito ad arrivare nel capoluogo lombardo. A causa dell’epidemia mille operatori cinesi non possono essere presenti, cifra pari all’80% del totale dei buyers, giornalisti e addetti ai lavori della moda cinese. Assenze che pesano anche sul sistema economico della città che solitamente nei giorni di sfilate registra il tutto esaurito.

Ma è tutto il mondo della moda a dover fare i conti con le conseguenze dell’epidemia da coronavirus, soprattutto perché i consumatori cinesi rappresentano più di un terzo del mercato del lusso. Gli operatori dicono che è troppo presto per valutare le conseguenze: l’unico termine di paragone è l’epidemia della Sars, tra il 2002 e il 2003, ma all’epoca gli acquirenti cinesi costituivano l’8 per cento del mercato, oggi il 38. “Nel 2002 le esportazioni italiane di moda verso la Cina erano diminuite del 20 per cento rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Riportando questo calo percentuale al primo trimestre 2020, la perdita in tre mesi sarebbe prossima a cento milioni, espandendo l’effetto a un semestre si arriverebbe a circa 230 milioni di euro“, spiega Carlo Capasa, presidente Camera Moda.

E il potere d’acquisto dei cinesi, da allora, è più che quadruplicato, con un crescente appetito per l’alta moda, inclusa quella italiana. Secondo i dati diffusi da Promos Italia, l’agenzia per l’internazionalizzazione della Camera di Commercio di Milano, la Cina è l’ottava destinazione dell’export del fashion italiano: a rischio c’è un settore da 71,7 miliardi di euro. “La moda è un settore trainante dell’export italiano”, conferma il presidente Giovanni Da Pozzo. “Nei primi primi nove mesi del 2019 il valore delle esportazioni nazionali ha raggiunto i 42 miliardi di euro. Ma con molti città isolate, le strade deserte e la paura del contagio molte catene hanno chiuso i propri punti vendita. Ai mancati incassi bisogna anche sommare il blocco dei flussi turistici, visto che un terzo degli acquisti di lusso vengono effettuati proprio da “elite-consumers” cinesi.

Tutti gli assenti alla Milano Fashion Week – Tra i mille operatori cinesi che non hanno potuto presenziare ci sono anche tre brand (Angel Chen, Ricostru e Hui) che non sfileranno perché, con le fabbriche chiuse, non hanno potuto completare le loro collezioni e gli otto giovani stilisti che la Camera Nazionale della Moda aveva deciso di ospitare: a causa del blocco dei voli non riescono ad arrivare in Italia. Giuliano Calza di GCDS fa sapere che al suo show di sabato mancheranno all’appello 200 persone, tutte provenienti dalla Cina. Non si è lasciata scoraggiare, invece, la 35enne Anna Yang che è arrivata l’altro giorno dalla Cina facendo scalo a Francoforte. La collezione del suo marchio Annakiki – da 4 anni sulle passerelle milanesi – era già pronta e lei ha deciso di mandare un segnale, confermando la sfilata in calendario sabato. Non sono solo i cinesi ad aver annullato la loro presenza a Milano: ci sono state defezioni – raccontano i pr delle grandi griffe – anche dal Giappone, dalla Corea e da Hong Kong, sia da parte dei compratori sia della stampa. Non viaggiano per politiche aziendali, per esempio, i buyers del grande department store Isetan.

Chi è rimasto a casa potrà vedere tutte le sfilate in diretta streaming tramite una piattaforma messa a punto dalla Camera della Moda: così si dà la possibilità a giornalisti, influencer e compratori di conoscere, recensire e acquistare i capi delle prossime collezioni invernali, che arriveranno nei negozi nell’autunno del 2020. Collegati via streaming anche 8 designer cinesi emergenti che avrebbero dovuto presentare le collezioni a Milano, ma che non potranno raggiungere l’Italia. Il progetto, chiamato “China we are with you” potrebbe essere replicato anche nella settimana parigina.

“Possibile perdita dello 0,3% del Pil” – Le preoccupazioni riguardano tutta la città di Milano, in particolare albergatori e ristoratori, che si trovano a fare i conti con il rischio di disdette e mancati incassi in una settimana solitamente da tutto esaurito. Il centro studi di Confcommercio stima una possibile perdita dello 0,3% del Pil per via del coronavirus. “Circa 6 o 7 miliardi: praticamente una piccola manovra finanziaria” spiega al Fattoquotidiano.it Francesco Wu, responsabile imprenditoria straniera della Confcommercio Milano, Monza Brianza e Lodi. “E’ presto per fare calcoli, ma il 2020 potrebbe essere l’anno nero del lusso – dice ancora Wu – In vent’anni, il Pil cinese è quadruplicato e l’economia è molto più interconnessa. Molti cinesi arrivano in Italia per fare shopping senza dazi e tasse: abbiamo calcolato che ogni turista, quando passa a Milano, spende in media 2mila euro tra hotel, acquisti, ristoranti e musei”. Sono i cosiddetti “élite consumers” che affollano le boutique di via della Spiga o via Montenapoleone: da soli coprono più di un quarto della spesa totale nel settore del lusso in Italia.

C’è poi da calcolare, come sottolinea anche Nicoletta Spagnoli, alla guida del marchio Luisa Spagnoli, il problema del turismo tax free, fenomeno crescente tra i viaggiatori di tutto il mondo. “Il turismo dei cinesi – spiega Francesco Wu – è finalizzato allo shopping: comprare qui, senza dazi e senza tasse, conviene”. Per i viaggiatori che provengono da Paesi al di fuori dell’Unione Europea, infatti, è previsto un rimborso. Secondo i dati Global Blue, nel 2019 è cresciuto del 12% rispetto al 2018, trainato proprio dai cinesi (il 29%) con scontrino medio di 1.167 euro.

“Dal coronavirus 100 milioni di ricavi in meno nei primi tre mesi del 2020” – Secondo le stime della Camera della Moda italiana, l’impatto del coronavirus “sull’economia e sul mercato è attualmente sconosciuto e rende incerte le previsioni per il primo semestre 2020″. Il presidente Carlo Capasa ha parlato di “uno scenario intermedio che determinerebbe una contrazione del fatturato dell’industria moda italiana tra -1,5% e 2,5% rispetto al primi semestre 2019 causata da un calo dell’export fra -0,5% e -1%“. In Italia la moda vale 71,7 miliardi di euro, è un settore trainante e soprattutto è in continua crescita: il 2019 che si è appena concluso è andato meglio del previsto con un fatturato di circa 90 miliardi e una crescita del solo export del 6%, di cui +5,6% solo in Cina. “Tutto lasciava sperare per il 2020 in una crescita al 3%”, ma le cose stanno già cambiando: “Una perdita dell’1,8% nel trimestre – ha aggiunto – è tanta roba. Anche se la speranza è in un netto miglioramento da aprile”. A lanciare l’allarme per prima è stata Capri Holdings, la finanziaria cui fanno capo i marchi Versace, Michael Kors e Jimmy Choo, che stima una perdita di 100 milioni di dollari di mancati ricavi solo nel primo trimestre del 2020. Stima che potrebbe anche peggiorare nel caso in cui i viaggi e il traffico di turisti dovessero essere ulteriormente ridotti.

Anche Salvatore Ferragamo ha espresso la sua preoccupazione: “Temiamo un calo del fatturato. Ancora non abbiamo fatto una stima esatta, però abbiamo molti punti vendita chiusi in Cina, altri a orario ridotto. Abbiamo tante persone che sono a casa in Cina, vengono comunque retribuite e quindi molti costi e pochi ricavi“. Concorda il ceo di Twinset, Alessandro Varisco, che aggiunge: “Si parla di impatto sulle vendite, ma può averlo anche sulla produzione”. visto che molte fabbriche in Cina hanno fermato le macchine. E il presidente e ceo di Herno, Claudio Marenzi osserva: “Ci farà riflettere sul fatto che la crescita non sia l’unico driver del business”. Intanto, in un giorno qualunque di febbraio, il gruppo Lvmh (che ingloba oltre 70 marchi tra cui Christian Dior, Bulgari, Fendi e Céline, ndr) ha perso in borsa circa il 7%, Kering il 5%, Moncler oltre il 7% e Burberry il 5%.

I negozi di lusso abbassano le saracinesche – A contribuire al crollo delle azioni c’è il calo delle vendite: nel tentativo di contenere il contagio, molti brand hanno dovuto chiudere i punti vendita. Ralph Lauren ha abbassato le saracinesche della metà dei suoi 110 negozi in Cina, seguita da Kering, il colosso del lusso che comprende, tra gli altri, anche Gucci e Bottega Veneta. Il 34% delle vendite totali del gruppo viene realizzato nella regione asiatica: il gruppo ha confermato di aver subito una “brusco calo” nelle vendite, senza specificare l’entità delle perdite. 24 dei 64 negozi Burberry sono temporaneamente chiusi,così come quelli di Calvin Klein e Tommy Hilfiger: i pochi esercizi rimasti aperti riscontrano “un flusso significativamente più basso delle aspettative”. Parla invece di “sconforto” dei partner asiatici Giuliano Calza di GCDS, che aveva appena aperto un negozio a Pechino, attualmente chiuso come il mall che lo ospita “perché l’aria condizionata è stata proibita”. Stessa sorte per il negozio di Hong Kong, “appena aperto e subito chiuso”. Nemmeno l’e-commerce è la soluzione: molte città sono isolate, gli hub sono chiusi, e la logistica e le spedizioni sono fortemente compromesse. “Il lusso è uno shopping esperienziale: un conto è comprare una borsa firmata in una boutique in Italia o in un grande shopping center di Pechino, un altro è comprarla online – spiega ancora Francesco Wu -. In tempi di crisi, poi, si tende a limitare gli acquisti ai beni essenziali”.

Londra, Parigi, New York: le conseguenze sulle altre fashion week – Anche le altre grandi piazze della moda devono affrontare le conseguenze del coronavirus: a febbraio, infatti, si concentrano le kermesse di Londra, New York, Milano e Parigi. In Inghilterra, Yuhan Wang, designer londinese nata in Cina, ha dovuto modificare all’ultimo la collezione, visto che l’azienda che si occupava della manifattura ha chiuso i battenti alla fine di gennaio. Il marchio Asai ha dovuto cancellare la sua presenza: i capi che aspettava da Shangai non sarebbero mai arrivati in tempo per via dei ritardi delle spedizioni. A New York, Lena Luo e Ekcee Chan del Luooifstudio hanno salutato il pubblico da uno schermo, visto che non potevano raggiungere gli Stati Uniti in aereo. Gli organizzatori hanno mandato un’e-mail agli stilisti chiedendo se qualcuno dei loro team fosse stato in Cina di recente, o se qualcuno fosse malato “Non vogliamo creare allarme, ma dobbiamo fare tutto il possibile per limitare i rischi”. L’ultimo appuntamento, quello parigino, inizierà il 24 febbraio e ha già perso sei stilisti: Masha Ma, Shiatzy Chen, Uma Wang, Jarel Zhang, Calvin Luo e Maison Mai non parteciperanno per via dell’epidemia.

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