La mia personale, smisurata preghiera ebbe inizio nell’autunno del 2003, quando per le mani mi ritrovai un doppio cd. Si intitolava Faber, amico fragile. Fu così che conobbi Fabrizio De André. Grazie alle voci di chi a un anno dalla morte, al Teatro Carlo Felice di Genova, gli aveva reso omaggio: Celentano, Vasco, Battiato, Zucchero, Loredana Bertè, Fiorella Mannoia, Eugenio Finardi, Mauro Pagani.

Qualche mese dopo, dalle casse del salotto risuonò la sua voce da sciamano. In casa, i miei genitori avevano la raccolta dei primi brani, Volume I, Tutti morimmo a stento, La buona novella, Storia di un impiegato e Anime salve. Piano piano comprai gli album mancanti e una chitarra. Iniziai ad accumulare libri sulla sua storia e a imparare le canzoni. A scuola, quando c’era il tema in classe, lasciavo che fosse un suo verso a ispirarmi.

Col tempo, non senza qualche scatto interiore da amante geloso, ho scoperto che De André è di tutti. Chi lo ama ha il proprio ricordo unico e insostituibile; una storia legata a una canzone. Un’emozione. E più o meno segretamente coltiva l’idea, senz’altro elitaria, che il mondo possa essere diviso in due: chi lo apprezza, da una parte, e chi non lo conosce, dall’altra (tertium non datur, perché il credo vuole che alla conoscenza corrisponda, necessariamente, l’ammirazione).

Oggi avrebbe compiuto 80 anni. Provo a pensare, con rabbia ed egoismo, a cosa avrebbe potuto regalarci. E, con rimpianto, ai concerti a cui non ho mai assistito e che, così piccolo, non avrei mai capito.

Su chi fosse De André e su cosa rappresenti non voglio scrivere una parola (ci sono studi e persone più brave di me nel farlo). Dico solo cosa sia e che cosa rappresenti per me: un ponte. Un ponte col mio retrobottega. Quel luogo che raggiungiamo quando ci spogliamo della fretta nel fare le cose, del disappunto per un torto subito, della preoccupazione per un’occasione persa o che potremmo mancare. Quel luogo, in definitiva, che sta due o tre livelli sotto la superficie dell’ordinario. Dove ci occupiamo solo di una cosa: conversare con la nostra anima, qualsiasi cosa essa sia. Ecco, De André per me è il tramite d’accesso a questo posto. Un posto che, ahimè, troppo spesso trascuro.

Ps. Stasera e domani sera, in molti cinema, trovate Fabrizio De André e PFM. Il concerto ritrovato, il docufilm sul concerto del 3 gennaio del 1979 a Genova.

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