È stato reso pubblico ieri dal Consiglio d’Europa il rapporto relativo all’ultima visita in Italia effettuata dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt), l’organismo deputato a monitorare le carceri del 47 Stati membri. Era venuto nel nostro Paese nel marzo dello scorso anno con una visita ad hoc, strumento che si aggiunge all’azione periodica di monitoraggio insita nel proprio mandato. La visita – che ha riguardato gli istituti di Biella, Milano Opera, Saluzzo e Viterbo – intendeva accertarsi delle condizioni dei detenuti sottoposti al cosiddetto regime di 41 bis e a varie misure segregative, nonché degli internati sottoposti a misure di sicurezza.

È da sempre il destino del carcere nel nostro paese: gli si sottrae pensiero non appena le circostanze rendano possibile dimenticarlo. Come una molla che viene tenuta in pressione applicandole una forza e che inevitabilmente ritorna alla sua posizione naturale quando essa venga a cessare. L’attenzione dedicata al nostro sistema penitenziario all’indomani della condanna dell’Italia da parte della Corte di Strasburgo nel gennaio 2013 è finita. E la molla, per inerzia, si distende in malo modo.

Il Cpt si è detto preoccupato del continuo e inesorabile aumento della popolazione detenuta dall’inizio del 2016 a oggi, risultante tra le altre cose nella mancanza per molti detenuti dei quattro metri quadri di spazio pro capite considerati uno standard minimo all’interno di celle multiple. Ha lamentato situazioni di scarsa igiene e di cibo insufficiente. Ha riportato la mancanza di riscaldamento e di acqua calda in alcune sezioni di alta sicurezza. Ma soprattutto ha chiesto alle autorità italiane un serio ripensamento del 41 bis e di tutte le misure che non guardino al recupero della persona ma esclusivamente alla sua afflizione, come l’isolamento diurno previsto dall’art. 72 del nostro codice penale.

In tutte le quattro carceri visitate – selezionate anche su questa base, a seguito tra l’altro di denunce del Garante nazionale dei detenuti e di Antigone – gli ispettori europei hanno trovato elementi che confermerebbero avvenuti maltrattamenti da parte della polizia penitenziaria ai danni di persone detenute. Si tratterebbe tanto di eccessivo e non professionale uso della forza per reagire a stati di agitazione, quanto di deliberate violenze perpetrate quale punizioni arbitrarie e illegali.

È del primo caso, ad esempio, quanto pare che accadde il 31 ottobre del 2018 nel carcere di Saluzzo, quando un detenuto in preda a uno stato psicotico di agitazione si è amputato due falangi della mano destra nel blindato sbattuto con forza mentre si cercava di trasferirlo in infermeria.

Le violenze deliberate riguarderebbero principalmente l’istituto di Viterbo, a proposito del quale lo scorso aprile Antigone rese pubbliche le tante lettere di detenuti che denunciavano alla nostra associazione gli agghiaccianti abusi subiti e a proposito del quale il Cpt parla dell’esistenza di una “squadretta” che sarebbe responsabile di molte spedizioni punitive. Stiamo parlando di dita del piede bruciate con un accendino, di persone prese a calci e pugni da otto agenti contemporaneamente, di visite mediche private di ogni possibilità di denunciare l’accaduto poiché permesse solamente alla presenza di poliziotti e risultanti in relazioni quali “il detenuto (…) si rifiuta di alzare la maglietta e abbassare i pantaloni, il che rende impossibile la visita”.

Come Antigone denuncia da tre decenni, la violenza in alcune carceri è sempre esistita. Negli ultimi anni questa realtà sta venendo fuori con maggiore evidenza, anche grazie a vicende pubbliche che hanno riguardato il nostro Paese e alla disponibilità dell’amministrazione penitenziaria a farle emergere. Disponibilità dimostrata pure dal rapido consenso dato dal governo alla pubblicazione di questo rapporto del Cpt, che altre volte ha invece richiesto vari anni. Quella che abbiamo davanti non è dunque una testimonianza storica. Parla di noi, parla di oggi.

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