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Caporalato, sfruttavano migranti facendoli lavorare in nero e prostituire: 29 ordinanze di custodia cautelare a Reggio Calabria

Le indagini hanno interessato la precedente stagione di raccolta delle arance. Grazie alle intercettazioni e alle riprese video, ma anche grazie all’attività investigativa tradizionale, i carabinieri sono riusciti a ricostruire la filiera dello sfruttamento dei migranti che all’epoca vivevano nella vecchia baraccopoli di San Ferdinando
Caporalato, sfruttavano migranti facendoli lavorare in nero e prostituire: 29 ordinanze di custodia cautelare a Reggio Calabria
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Un bracciante agricolo senegalese nel luglio 2018 si è presentato alla stazione dei carabinieri di San Ferdinando e ha denunciato un caporale ghanese. Da lì sono partite le indagini che hanno consentito alla Procura di Palmi di scoprire una rete di sfruttamento dei migranti extracomunitari che vivono nella tendopoli a ridosso del porto di Gioia Tauro. Caporali e titolari di aziende agricole sono stati arrestati dai carabinieri questa mattina all’alba: 29 ordinanze di custodia cautelare sono emesse dal gip su richiesta del procuratore della Repubblica di Palmi Ottavio Sferlazza.

Sono 18 complessivamente i caporali arrestati: di questi 13 sono finiti in carcere, 3 all’obbligo di dimora e per 2 è stato disposto l’obbligo di presentazione. Si tratta di cittadini extracomunitari di origine centrafricana che all’epoca dei fatti erano domiciliati nella baraccopoli di San Ferdinando e nel Comune di Rosarno. Undici, invece, gli imprenditori agricoli coinvolti nell’inchiesta. Nei loro confronti il gip ha ordinato 7 arresti domiciliari, 2 obblighi di dimora, un divieto di dimora e un obbligo di presentazione. Oltre che di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, gli indagati sono accusati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione e detenzione ai fini di spaccio di marijuana. Le indagini hanno interessato la precedente stagione di raccolta delle arance. Grazie alle intercettazioni e alle riprese video, ma anche grazie all’attività investigativa tradizionale, i carabinieri sono riusciti a ricostruire la filiera dello sfruttamento dei migranti che all’epoca vivevano nella vecchia baraccopoli di San Ferdinando.

Era lì che, alle 5 del mattino, iniziava quello che gli inquirenti definiscono il reclutamento dei braccianti che avveniva in modo sistematico. I caporali provvedevano al trasporto dei migranti presso le aziende agricole locali operanti nel settore della raccolta e vendita di agrumi. I braccianti venivano prelevati nella zona industriale o in altri punti di raccolta e stipati all’interno di minivan o veicoli che spesso non erano idonei alla circolazione: anche in 15 all’interno di un furgone che poteva trasportare al massimo 9 persone.

Una volta raggiunti nei campi dei proprietari agricoli arrestati nell’inchiesta, i braccianti erano costretti a lavorare in condizioni precarie 7 giorni su 7: un euro per ogni cassetta di arance e mandarini, senza mai fermarsi e sprovvisti di qualsivoglia dispositivo di protezione individuale e di tutela della salute. Ogni migrante riusciva a percepire al massimo 2 o 3 euro per ogni ora di lavoro. A proposito dei proprietari dei terreni, il gip ha disposto anche il sequestro preventivo di tre attività imprenditoriali a Polistena, Rizziconi e Laureana di Borrello oltre che di 18 beni mobili per un valore stimato di oltre 1 milione di euro. Nel corso dell’indagine, i carabinieri hanno riscontrato alcuni episodi di spaccio di marijuana. È emerso, invece, che alcune donne nigeriane erano costrette a prostituirsi all’interno del ghetto per poi versare il ricavato dello sfruttamento al un cittadino liberiano finito stamattina in carcere.

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