Per anni e anni, la sua scrittura l’abbiamo apprezzata e gustata sul suo blog, Colfavoredellenebbie. Scrive racconti che sono carezze, Zena Roncada, di Sermide, provincia di Mantova. Gli argini, la nebbia e il Po, che quando si gonfia fa paura ma che riporta alla mente anche Guareschi, e con lui la gente passionale che vive in quelle terre, e quindi la paura va via.

Per dire come sa essere, la pianura, occorrerebbero metri
di filo tutto steso, balle di stoffa dispiegata e stirata
con le mani, senza l’aria a fare gioco. Lo sguardo corre
all’orizzonte, vuoto di ostacoli alla vista: tutto è spalmato
e liscio come una colata di sciroppo o un gatto che
s’allunga, zampe e coda, fino a diventare una riga sul
divano. Anche le case pensano in piatto e si alzano di
poco dal terreno: il tetto le schiaccia verso il suolo.

È la bambina – che è sorella dal fanciullino di Giovanni Pascoli e figlia della leggerezza tanto cara a Italo Calvino – che ci racconta, con stupore e purezza, questa terra e questo mondo, con una pennellata forte di nostalgia. Una bambina (o un bambino) in cui è facile identificarsi. Si intitola, appunto, Le bambine, l’ultimo libro di racconti di Zena Roncada. Casa editrice il bel marchio dal bellissimo nome, Pentagora.

Zena Roncada, insegnante, si occupa di semiotica, di linguistica e di pratiche comunicative. Di lei, Anna Setari e Giovanni Monasteri hanno scritto che “si riassaporano i modi e il senso di un raccontare antico. Zena Roncada è una scrittrice affabile. Lo è anche la persona, come sanno bene quanti la conoscono. E il suo sguardo sulle cose è come lei: affettuoso, limpido, incantato”.

La bambina amava le notti dell’inverno pesante, fin
dai riti della sera.
Si poteva chiedere il gioco delle orecchie fredde,
prima di andare a dormire.
Nonno consenziente, disposto a farsi un paio di giri
attorno alla casa, per portare il gelo dentro. Bellissimo
gioco quello di addormentarsi cincischiando le
orecchie raffreddate dall’aria di galaverna, fra l’indice
e il medio, con la carezza del pollice.

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