Da un lato ci sono i prepensionamenti dei giornalisti, dall’altro l’ingresso nel mondo dell’informazione di nuove figure professionali non meglio definite, ma al di fuori del perimetro dell’Ordine. In mezzo c’è il rischio crac dell’Inpgi, l’Istituto di previdenza dei giornalisti e il diritto dei cittadini a essere correttamente informati. Ecco perché l’emendamento alla legge di bilancio che stanzia nuove risorse per consentire ai giornalisti di ritirarsi “cinque anni prima di quanto stabiliscano le regole” e apre a nuove “figure professionali” ha scatenato la reazione di Inpgi, Ordine e Federazione nazionale della Stampa. La norma mette infatti le basi per lo smantellamento della professione giornalistica senza costruire un’alternativa e pone le condizioni per il collasso dell’Inpgi che, già malandata, finirebbe col confluire all’interno dell’Inps. Con tanto di potenziale sforbiciata alle attuali pensioni dei giornalisti. La soluzione però, a detta del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, sarebbe “rischiosa”. Ma allora quali sono le proposte sul tavolo? Che cosa sta accadendo esattamente? E soprattutto quali saranno gli effetti di questi cambiamenti per i giornalisti e per i lettori?

Per rispondere a questi interrogativi, è necessario ricostruire un puzzle complesso di cui l’Inpgi è solo il tassello finale. Come è noto, lo sviluppo di Internet ha portato in dote una grande ristrutturazione nel mondo dell’editoria e delle tv: nel giro di dodici anni, soprattutto la carta stampata ha perso i due terzi delle copie e con loro anche buona parte del fatturato che è stato assottigliato anche dal progressivo ribasso nei prezzi delle pubblicità. Inoltre gli introiti dell’advertising, fra i più bassi d’Europa sul web, si stanno progressivamente spostando verso gli over the top come Facebook o Google. Di qui il tentativo degli editori a Bruxelles di spuntare parte dei ricavi per il copyright degli articoli riprodotti via web. Intanto, per fare quadrare i conti, gli editori hanno tagliato tremila posti di lavoro in cinque anni, sostituendo parte dei dipendenti con nuove formule occupazionali atipiche e meno costose. Con il risultato che il compenso per un articolo, calcolato su base oraria, può arrivare ad essere inferiore al prezzo orario (da 4,62 euro a 8,21) di una collaboratrice domestica. Non solo: le regole cambiano a seconda dell’editore come, in questi giorni, ha raccontato via Twitter la giornalista del Corriere.it, Barbara D’Amico, che ha denunciato un taglio retroattivo degli importi di collaborazione con il gruppo Rcs, senza alcun preavviso.

Le nuove forme di contratti atipici hanno abbassato il costo del lavoro, ma hanno anche portato in dote una riduzione dei flussi di contributi verso l’Inpgi, che ha sostanzialmente due anime: l’Inpgi1 dove i datori di lavoro versano i contributi per i giornalisti professionisti con contratto nazionale di categoria; l’Inpgi2 dove arrivano i contributi pagati da liberi professionisti e anche dagli editori per tutte le forme di lavoro “atipico”. L’Inpgi1 è evidentemente la parte più importante della cassa, ma è anche quella con i maggiori problemi perché da un lato paga le pensioni più “corpose” e dall’altro incassa sempre meno: la gestione previdenziale 2019 dovrebbe archiviarsi con un passivo di 169 milioni. Il dato è in peggioramento rispetto ad un anno prima (147). Come se non bastasse non sono attesi miglioramenti nel 2020 (-189 milioni). Diversa è invece è la gestione dell’Inpgi2, dove versano i contributi tutte le nuove “forme atipiche” contrattuali: in questo caso i conti sono in ordine, ma le prestazioni sono minime. Risultato di tutto questo caos è che, con la flessione del numero di contratti giornalistici,l’Inpgi rischia di saltare. E di finire all’interno dell’Inps pesando sulle tasche di tutti i contribuenti che, oltre a pagare il conto per gli editori, saranno anche informati da giornalisti sempre più precari, ricattabili e con minori tutele legali.

Vista la delicata situazione dell’Inpgi, a giugno il governo Conte primo è intervenuto con l’obiettivo di mettere in sicurezza l’istituto di previdenza. Senza entrare nelle reali problematiche occupazionali del settore, l’esecutivo gialloverde ha varato l’emendamento “Salva Inpgi” all’interno del decreto Crescita. La norma ha ampliato la “platea contributiva” dell’Inpgi facendo, in buona sostanza, confluire comunicatori e uffici stampa dall’Inps alla cassa dei giornalisti. Inoltre, la legge ha previsto anche un ristoro all’Inps per mancati contributi superiore al miliardo e mezzo di euro per il periodo che va dal 2023 al 2030. All’Inpgi è stato chiesto di “adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (29 giugno 2019), misure di riforma del proprio regime previdenziale volte al riequilibrio finanziario della gestione”, come si legge nel decreto Crescita.

Ma la soluzione del governo per salvare l’Inpgi non è piaciuta affatto ai comunicatori. Le maggiori associazioni di categoria (da Cida a Ferpi passando per Confassociazioni, Una, Ascai, Com&Tec e Iaa) sono convinte che il “Salva Inpgi” non solo non sarà utile a mettere in sicurezza definitivamente l’ente previdenziale, ma si tradurrà anche in un boomerang per le loro pensioni.

In questo scenario, si è arrivati all’attuale emendamento alla legge di bilancio per i prepensionamenti in cui è prevista la facoltà per gli editori di sostituire i giornalisti con altre figure professionali. Una soluzione che il presidente del consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, definisce “devastante per il giornalismo”. “C’è una questione – affermano Verna e i coordinatori dei presidenti degli Ordini regionali – che porrebbe clamorosamente in contrasto la norma civilistica che si vorrebbe introdurre, con quella penale relativa all’esercizio abusivo della professione”. Senza contare che “così i nuovi assunti verseranno i contributi all’Inps” come ha precisato il presidente dell’Inpgi, Marina Macelloni, che ha poi aggiunto: “Di fronte a questi cambiamenti il governo non pensa di doversi interrogare? Forse, così, l’Inpgi morirà, ma tutto il sistema dovrà prendersene la responsabilità”. Anche chi, in queste ore, come evidenzia il segretario generale della Federazione nazionale della stampa, Raffaele Lorusso, “sta lavorando nell’ombra perché sia cancellata la norma che impedisce a chi accede al pensionamento anticipato di stipulare contratti di collaborazione con la stessa testata e con le testate dello stesso gruppo”. Del resto, secondo il sindacalista, “chi sceglie il pensionamento anticipato è giusto che si goda la pensione e non precluda spazi a chi, giovani e meno giovani, ha tutto il diritto di entrare nel mondo del lavoro dalla porta principale, ossia con un contratto e una posizione previdenziale regolari”.

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