di Federica Pistono*

Alessandria è una città dalle mille suggestioni, antichissime e moderne: è la città della celeberrima biblioteca, dei caffè greci e delle fumerie nascoste, dei poeti e dei letterati, come Kavafis, al-Kharrat e Durrell, una metropoli da sempre cosmopolita, dalla storia multiforme. Una città dalla memoria millenaria che, diversamente da Atene o Roma con i loro monumenti ancora presenti davanti ai nostri occhi, vive di indicazioni che parlano di un passato che non è sempre visibile attraverso un patrimonio archeologico materiale.

È la città in cui fu forse sepolto Alessandro, in cui si amarono Antonio e Cleopatra, in cui sorgevano la Biblioteca e il Serapeo. Se la città antica fosse sopravvissuta, forse in quella moderna non aleggerebbe un’atmosfera altrettanto onirica ed evocativa. Crogiuolo di etnie e culture diverse, ha attirato scrittori e artisti fino alla metà del 900 con le bellezze che i pascià ottomani, un secolo prima, nel tentativo di modernizzare l’Egitto, avevano donato alla città: ville in stile italiano, palazzi in art déco, magnifici boulevard, ma anche teatri, locali notturni, ristoranti, negozi.

La ricchezza artistica, culturale e sociale di Alessandria si riverbera nelle opere letterarie che la descrivono, dando vita a visioni che alimentano l’immaginario su questa città sospesa tra Oriente e Occidente. Le liriche del poeta di origine greca Konstantinos Kavafis, ricche di richiami alle origini ellenistiche e greco-romane di Alessandria, hanno spesso carattere epigrammatico ed essenziale. La poesia è per l’autore essenzialmente memoria, rielaborazione di un passato che, se da un lato è biografico, dall’altro si incarna nella storia di un popolo e di una città. Il poeta sembra immaginare un mondo antico, aureo, in cui i suoi versi scrivono ciò che la storia tralascia. I riferimenti all’Alessandria del periodo ellenistico e romano sono occasione per una riflessione etica sul presente, per la nostalgia di un’epoca storica che non può tornare.

Le vicende della città tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, descritte attraverso i ricordi di Mikhail, un bambino copto, rivivono nelle pagine del romanzo Alessandria città di zafferano dello scrittore copto Edwar al-Kharrat (Jouvence, 2002, trad L. Capezzone). La narrazione è intimistica, l’autore lascia sullo sfondo gli eventi storici che sconvolgono la vita dei personaggi. La visione di Alessandria che scaturisce dall’opera è un’immagine diafana, intessuta di sogno. Le memorie del bambino, in realtà autobiografiche, si alternano e si accavallano senza seguire uno schema logico.

La rappresentazione della città è onirica, labirintica, una raffigurazione in cui i ricordi infantili spesso si confondono e i contorni dei luoghi urbani sfumano e si dissolvono. Talvolta dalla narrazione emergono elementi realistici, come le descrizioni dei quartieri popolari, in cui la convivenza di genti, religioni e culture diverse è comunque cordiale e pacifica, e l’autore sembra voler sottolineare ancora una volta la vocazione cosmopolita della città.

Un altro indimenticabile ritratto di Alessandria affiora dalle pagine del romanzo di Nagib Mahfuz Miramar (Edizioni Lavoro, 1989, trad. I. Camera D’Afflitto). La storia è ambientata alla pensione Miramar, un luogo di un’eleganza un po’ decaduta che conserva le tracce dell’antico splendore. Vera protagonista dell’opera è Alessandria, che offre un ritratto complesso delle contraddizioni della vita cittadina e nazionale negli anni Sessanta.

Nella pensione sfilano i clienti che incarnano le diverse anime della società egiziana, le cui vicende sono raccontate da quattro voci narranti che si alternano nel romanzo. In un continuo oscillare tra passato e presente, scorrono le storie dei diversi ospiti: Amer Wagdi, anziano giornalista, un tempo militante nel partito nazionalista, tornato alla pensione per restarvi per sempre; Tolba Marzuq, un maturo uomo politico cui lo Stato ha confiscato i beni; il giovane Sarhan al-Buheiri; Hosni Allam, un proprietario terriero; Mansur Bahi, un annunciatore di Radio Alessandria. Agli ospiti si affianca la proprietaria, la signora Marianna, una matura vedova di origine greca che, un tempo bella e felice, vive del ricordo del passato e manda avanti l’attività con la sua domestica, Zahra, una giovane contadina le cui relazioni con gli altri rispecchiano simbolicamente le realtà politiche e sociali del paese.

Anche la città di Alessandria non è più quella di una volta, ormai abbandonata dai tanti europei che l’avevano scelta, immalinconita, battuta dai venti invernali e sfiorata dagli echi degli eventi politici della dittatura di Nasser, tra espropri e nazionalizzazioni. Non si tratta più dell’Alessandria delle suggestioni letterarie europee, ma di una città in decadenza, in cui perfino gli ideali rivoluzionari sono in declino. La città è dunque specchio e metafora dell’Egitto nasseriano, preda dell’opportunismo e del vuoto di valori.

* traduttrice ed esperta di letteratura araba

Articolo Precedente

Prima della Scala, 10 cose su Tosca e Puccini. Per esempio: in origine era come un pulp di Tarantino. E c’era un’aria un po’ troppo simile a ‘O sole mio

next
Articolo Successivo

Firenze, le porte del Battistero di nuovo insieme: le immagini in time lapse

next