“Non c’è più nulla di innocuo”, scriveva Theodor Adorno. In Minima Moralia, il grande accademico tedesco descriveva attraverso una serie di brevi riflessioni e aforismi che prendono spunto dalle esperienze più banali – dal nostro rapporto con le porte o con il saluto nei confronti del vicino – il decadimento etico della società tardo industriale. Sotto lo sguardo di una morale minima, gli accadimenti di questi giorni in materia di donazioni, prestiti e preziari della partecipazione alle conferenze di Matteo Renzi assumono una connotazione che abbraccia un discorso più vasto della sola valutazione del comportamento dell’ex ragazzo prodigio di Rignano sull’Arno.

Si può discutere a lungo se le donazioni e i prestiti a un politico da parte di finanziatori e benefattori privati costituiscano o meno un reato penale. E, tutto sommato, si potrebbe anche intavolare un dibattito su cosa sia un partito politico e cosa una fondazione. Rimane che in una società in cui la democrazia sta morendo soffocata dalla crisi di legittimazione, il fatto che una fondazione, riconducibile a un singolo politico, incassi soldi da finanziatori privati, o che un ex premier riceva un anticipo dalla madre di un finanziatore per acquistare una villa, apre degli interrogativi a cui si fa fatica a rispondere.

Perché imprenditori come Alfredo Romeo, già imputato per corruzione e coinvolto nel caso Consip, dovrebbero donare quattrini a una fondazione che finanzia un politico di primo piano come Renzi? Possiamo veramente credere che personaggi, che da una vita hanno lavorato con il sottobosco della politica per intessere affari, siano interessati così sinceramente al futuro della nazione da destinare parte dei loro guadagni a personaggi politici senza chiedere nessuna contropartita in cambio?

La storia della scalata renziana al potere così come tante altre storie di politici italiani è intrisa di episodi da contorni poco cristallini. Nel 2018 Emiliano Fittipaldi pubblicava sull’Espresso la notizia secondo cui la società Condotte per l’acqua Spa, vincitrice di grandi appalti governativi e interessata alla costruzione della Tav di Firenze, aveva conferito ricche consulenze, attraverso le sue partecipate Inso e Novadia, a Emanuele Boschi e Alberto Bianchi, il primo fratello di Maria Elena Boschi e il secondo deus ex machina della Fondazione Open.

Anche in questo caso le domande che una persona normale è portata a porsi sono: è normale affidare consulenze così importanti a un cultore della materia di Bilancio e Principi contabili presso l’Università Europea di Roma come era il fratello della Boschi, invece che a un professore ordinario o a uno studio di consulenza internazionale?

Ne L’educazione del principe cristiano, scritto nel 1516 – solo due anni dopo la stesura de Il Principe di Machiavelli -, Erasmo da Rotterdam affermava, in antitesi con lo spirito machiavellico del fine che giustifica i mezzi, “se vorrai entrare in gara con altri principi, non reputare di averli vinti perché togli loro parte del dominio. Li vincerai veramente, se sarai meno corrotto di loro”.

Il richiamo alla virtù dell’onestà costituisce oggi in Italia, il paese principe della corruzione e del malaffare, il problema principale da affrontare per invertire il declino del paese. L’esempio della corruzione della politica scende ogni giorno come un miasma lungo tutto il corpo della nazione, ne corrode le basi etiche, ne diffonde il virus che contamina lentamente sfere sempre più vaste di azione creando disillusione e perdita di fiducia nei confronti delle istituzioni democratiche.

La veemente controffensiva lanciata da Matteo Renzi contro chi ha posto degli interrogativi relativi alla liceità del suo comportamento mette purtroppo in evidenza quanto ormai la cultura politica del paese non solo non sappia il problema del rapporto tra politica e morale, ma sia incapace ormai addirittura di percepirlo. La crisi della democrazia e l’ascesa dei populismi hanno sicuramente molte spiegazioni come la strumentalizzazione dei nuovi media, la crisi economica, la crescita dell’incertezza sociale.

La storia e l’esperienza comune dovrebbero insegnare che sottovalutare la questione della legittimità morale della politica è il passo che porta diritto all’anticamera della fine della democrazia. In un articolo pubblicato nel 1986 su Micromega, Norberto Bobbio scriveva che “anche per chi considera l’azione politica come un’azione strumentale, essa non è strumento per qualsiasi fine che all’uomo politico piaccia perseguire”.

Ogni azione politica va sottoposta a giudizio morale. Se esistono dubbi o incertezze rispetto alla moralità di un certo comportamento il politico che ha a cuore la legittimazione della democrazia è chiamato non solo a dirimere gli interrogativi, ma anche a evitare che essi semplicemente si pongano perché altrimenti saranno le basi stesse delle istituzioni democratiche a essere erose.

In questo anche Renzi, l’ex rottamatore, è figlio di tempi molto bui. La politica in Italia ha dimenticato che senza un ritorno alla giustificazione morale delle proprie azioni la morte della democrazia è solo una questione di tempi, o di forme. Ma la questione morale ormai non esiste più perché, semplicemente, essa non è più percepita.

L’assuefazione al comportamento ambiguo, a rapporti vischiosi e al mischiare l’interesse pubblico con quello privato è ormai tale da avere preso le forme della “sindrome del valore standard mutante”, il fenomeno plasticamente spiegato dalla biologa Loren McClenachan attraverso la descrizione di una serie di foto che ritraggono le espressioni trionfanti dei pescatori che mettono in mostra i loro trofei alle Florida Keys, le isolette dell’arcipelago a sud di Miami. Anno dopo anno, i pesci esibiti dai pescatori sono sempre più piccoli. Quelli che quaranta anni prima erano dimensioni del pescato tali da provocare vergogna a essere mostrate in pubblico, con l’incedere del degrado marino diventano standard da esibire con orgoglio al pubblico.

Cosa è accaduto in questo lasso di tempo? Una cosa molto semplice: gli esseri umani si sono abituati al degrado. Così come i pescatori descritti dalla McClenachan, anche la grande maggioranza del ceto politico italiano sembra essere ormai destinato a una drammatica sconnessione dalla realtà. La collusione con il mondo degli affari non sembra essere tale da dovere essere stigmatizzata, perché a forza di essere poco trasparenti i politici si sono abituati alla rovina.

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