In Nuova Zelanda è stata intrapresa un’interessante iniziativa allo scopo di ridurre o eliminare la connotazione negativa e la conseguente emarginazione di cui ancora sono vittime i soggetti sieropositivi per Hiv, il cosiddetto “stigma”. Nonostante i progressi effettuati dalle terapie nella negativizzazione del virus nel sangue e la conseguente impossibilità per il virus di essere trasmesso, il sospetto e la diffidenza spesso accompagna infatti l’esistenza dei sieropositivi per Hiv.

Si tratta di conferire il diritto anche allo sperma di persone sieropositive di poter far parte della banca del seme. I principali fautori dell’iniziativa, chiamata “Sperm Positive”, sono New Zealand Aids Foundation, Positive Women Inc. e Body Positive. Il ribaltamento dell’opinione pubblica corrente, che ancora contrasta le acquisizioni scientifiche e cliniche di questi decenni, dovrebbe nelle intenzioni derivare dalla diffusione di un’informazione corretta sulla innocuità dello stato di sieropositività per Hiv in coloro che assumono regolarmente la terapia, da cui far derivare la fiducia nella sicurezza della donazione di sperma nell’ambito del programma di “Sperm Positive”.

È stato comunicato che i donatori saranno all’inizio tre maschi che sono sieropositivi per Hiv da molto tempo, e che per merito delle terapie si sono sieronegativizzati permanentemente. Si sa che le persone sieropositive per Hiv anche in Europa, nonostante la fondamentale opera delle associazioni di volontariato, di organi istituzionali e di società scientifiche per diffondere messaggi di solidarietà, continuano in moltissimi casi a vivere all’interno di una bolla che li identifica come tali e li emargina automaticamente, sia nella vita quotidiana che nel lavoro.

Sappiamo bene anche che lo stigma, cioè la connotazione negativa delle persone sieropositive per Hiv, può provocare conseguenze ed effetti pericolosi per la sorveglianza, il controllo e la profilassi dell’infezione e della sua diffusione nella popolazione generale. Tale diffusione infatti viene segnalata ancora presente e con scarsa tendenza ad azzerarsi, come sarebbe auspicabile, specie per quanto riguarda strati di popolazione che si considerano a torto al sicuro, anche perché molte persone che sono sieropositive per Hiv preferiscono tacere il loro stato, per evitare l’allontanamento da parte di famiglia e società.

Una situazione del genere, cioè di allontanamento e discriminazione, è tipica dei paesi in via di sviluppo per certe patologie considerate “infamanti”. Nei villaggi più poveri infatti i malati di lebbra, che vivono in situazioni di indigenza tali da non essere raggiunti dalle terapie antibiotiche e che in alcuni paesi fittamente popolati – e ce ne sono nel Sud del mondo – arrivano anche a prevalenze dell’1% della popolazione, vengono sottoposti ad allontanamento da parte dei loro simili e sono costretti a vivere ai margini dei centri abitati. Se tale atteggiamento discriminatorio può essere considerato spiegabile, ma comunque certo non giustificabile, in Africa o nel Sud Est asiatico, non può senz’altro esserlo nell’occidente e in Italia in particolare.

I pazienti per motivi simili possono spesso perseguire la politica dello struzzo e per nascondere a se stessi e agli altri la loro condizione sfuggono addirittura anche le terapie e la possibilità di rendersi innocui con l’azzeramento della carica virale.

Va detto che “Sperm Positive” non funzionerà per adesso come una clinica per la fertilità, ma ha dichiarato che metterà le parti interessate in contatto dopo eventuale accordo con una clinica per la fertilità, se necessario.

Articolo Precedente

Il primo dicembre è la giornata mondiale contro l’Aids. E quest’anno ci porta due buone notizie

next
Articolo Successivo

Hiv, trapianti non sono più un tabù: 34 pazienti sieropositivi hanno ricevuto un organo

next