L’inchiesta di Report sul disastro annunciato nella preparazione delle Olimpiadi invernali del 2026 (“I Tedofori” di Claudia di Pasquale) mostra plasticamente come stia già maturando, al riparo dal clamore, il prevedibile schema del ritardo nei lavori di allestimento delle infrastrutture finalizzato a un pingue rifinanziamento e all’allentamento dei controlli. E mentre ben altri problemi attanagliano l’opinione pubblica, grazie alla puntata del programma di Sigfrido Ranucci del 25 novembre (si può rivedere sul sito Rai) e ad inchieste come quella di Lorenzo Vendemiale sul Fatto, si cominciano a intuire i veri obiettivi dei promotori: oltre all’affare dei fondi pubblici, c’è in ballo l’asse con la Cina, come anche la nomina di Novari a manager olimpico fa pensare.

Sullo sfondo s’intravede l’interesse degli operatori e dei luoghi turistici per il mercato cinese dei viaggiatori, e degli sciatori in specifico. Sì, non ci sono solo la via della Seta, il caso del 5G, i nuovi porti come a Trieste, gli stadi che verranno per le Olimpiadi o per Inter e Milan: la Cina diventerà presto l’interlocutore privilegiato anche nell’offerta turistica. Un mese fa si è presentato a visitare i nostri primissimi cantieri olimpici il ministro dello Sport cinese Gou Zhongwen, che è il boss anche dei giochi di Tokio 2020; all’Hotel Park Hyatt di Pechino si è tenuto addirittura già un evento sul 2026 intitolato “Notte italiana”, poi a Cortina c’è appena stato un meeting operativo bilaterale, e il campione di sci Kristian Ghedina ha addirittura festeggiato i 50 anni in giro per la Cina come Ambassador del 2026. Intanto è già attesa per il momento clou del passaggio della torcia olimpica da Pechino-Chongli, dove ci saranno le cerimonie anche dell’invernale 2022, alle nostre Milano-Cortina.

Tra gli operatori turistici delle Dolomiti, del resto, si ritiene decisiva la partita per conquistare il mercato dei ricchi cinesi, calcolato sulla carta dagli esperti di marketing in qualcosa come sei milioni di sciatori con forti capacità di spesa. Si considera invece che in Europa il numero di sciatori sia intorno ai 10-12 milioni in tutto, e di questi i veri ricchi sono solo una piccola parte, intorno alle cinquecentomila persone. Ora, che cosa c’è di meglio che una vetrina olimpica per mostrare la bellezza ambientale e sportiva delle nostre piste? Per quanto riguarda Milano, con la nuova vocazione turistica, che si è vista dai 10 milioni di ospiti paganti la tassa di soggiorno nel 2018, i turisti cinesi già oggi sono una realtà di prim’ordine: il Comune lascia volentieri parcheggiare tutti i giorni, dietro al Castello e un po’ ovunque per la città, una frotta di torpedoni pieni di comitive sbarcate coi voli diretti da Canton, da Nanchino, da Pechino, da Shangai e da Wenzou.

Ma veniamo ai problemi legati a questa evidente finalità propagandistica di un evento di per sé già di grande impatto ambientale come le Olimpiadi invernali: il primo è che magari non tutti i cittadini sono così felici di sapere che un sacco di soldi delle tasse venga impiegato per dotare di nuove infrastrutture (proprio mentre strade e autostrade svelano la fragilità del Bel Paese) e di nuovi impianti da sci l’asse di località del Nord-Est legate al progetto Milano-Cortina, che sono già molto sviluppate, e da decenni, rispetto al resto d’Italia; la seconda questione è specificatamente legata alle ricadute negative di una promozione esagerata del turismo di massa cinese in luoghi come quelli dei nostri monti. Ora, non per fare sempre i razzisti, ma fino ad oggi sono stati guai dovunque siano arrivate le masse di turisti cinesi, se ricchi ancor peggio, soprattutto in luoghi fortemente connotati per un’impronta un po’ meno massificata o alternativa: per esempio, a Goa tutti rimpiangono il clima da Susegad, quello spirito di pace – dal portoghese “sussegado“, quieto, calmo, sereno – che ha visto generazioni e generazioni di hippies scegliere questa costa dell’India occidentale come patria d’elezione; oppure a Rejkyavik, dove l’assalto eccessivo, di americani prima e di cinesi poi, ha fatto registrare uno stravolgimento tale da causare, alla fine, la drastica diminuzione dei viaggiatori più avventurosi, amanti dell’immagine islandese tradizionale.

Lo stesso precedente olimpico del ’56 a Cortina, in fondo, è una data che molti amano ricordare come l’inizio dello sviluppo nelle aree montane tra Veneto e Trentino-Alto Adige, ma che gli osservatori più attenti indicano anche come il via libera a una logica forsennata di distruzione di risorse naturali e paesaggistiche. E oggi per valutare i possibili effetti nefasti dell’arrivo di masse di turisti orientali nelle Dolomiti oggi, poi, ci vuole poco: c’è addirittura già un esempio preciso, ed è quello che succede d’estate davanti alla chiesetta di Ranui in val di Funes… Ma questa è un’altra storia, di cui riparleremo presto.

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