Fiumi d’acqua e di parole vengono versate in queste ore di lunga emergenza per Venezia e le sue isole; tutti brutalmente risvegliatisi da un sonno profondo hanno compreso, pare solo ora, che la città più bella del mondo sta morendo se non si corre ai ripari. Sì, ma quali ripari?

Gli occhi sono puntati sul Mose, la vera vergogna veneta, divenuto nei decenni l’opera delle opere, la magnificenza tecnologica del Veneto, la dimostrazione di efficienza di un “popolo” (parole senza musica di Giancarlo Galan e Luca Zaia) e oggi oggetto di uno scaricabarile senza pari per non intestarsi la vergogna che ne deriva.

Anzi facile, troppo facile ricorrere al trucchetto del ”ci hanno mangiato tutti”, così da mettere sullo stesso piano chi doveva controllare e chi ha ricevuto finanziamenti elettorali, chi governava il business della corruzione che ha fatturato oltre un miliardo e chi semplicemente ci lavorava, nel famigerato Consorzio Venezia Nuova. Un nome che doveva suonare come un allarme già all’origine: Venezia non può essere nuova, Venezia nel migliore di casi va mantenuta tale. Se ci riusciamo.

Dunque lasciamo le miserie di oggi che ci rappresentano una classe politica screditata da infinite inaugurazioni, chiacchiere e lacchè per ascoltare gli storici veneziani, gli abitanti e i cultori del sistema di isole e barene, gli esperti di quelle acque lagunari che garantiscono la sopravvivenza della città e del suo sistema fisico e sociale da cui arrivano i veri nodi da sciogliere, di difficile risoluzione.

Non per caso dal 1500 vi era un’Autorità indiscussa ed esperta deputata alle opere di bonifica, scavo, manutenzione e irregimentazione di quelle acque e dei fiumi che in essa sfociano, il Magistrato alle acque. Soppresso anche quello per ignominia, Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva – ultimi Presidenti dell’ente – sono stati arrestati per tangenti. Il denaro, lo sporco denaro per sé ha cancellato obblighi e serietà di difesa della città più fragile e bella del mondo.

Oggi la difesa non sta – se non in misura ridotta rispetto al passato – nelle minacce esterne: i nemici che giungono fin qui per intaccare la potenza di Venezia oggi si chiamano crisi climatica, surriscaldamento delle acque, venti di scirocco e di bora sempre più forti, ma anche la mancata pulizia dei canali – cura che ha sostenuto per centinaia d’anni Venezia -, l’apertura di canali immensi come quello dei petroli “creando un’autostrada laddove vi era un sentiero” e le forzature del moto ondoso frutto di migliaia di motoscafi, taxi d’acqua, traghetti e grandi navi, contrasto netto alle rispettose gondole e ai barchini in uso storico corrente.

Abusi, indifferenza, prepotenza, corruzione e mancanza del senso del limite: questi sono i grandi mali che affliggono non da oggi Venezia. E la cura non può stare nei 100 milioni di bandiera proposti da Matteo Salvini, “inutili” stando alle parole di Roberto Linetti, responsabile dal 2013 del Provveditorato alle acque, che sentito il 12 settembre 2018 dalla Commissione Ambiente sullo stato di avanzamento delle opere e delle attività relative alla realizzazione del Mose parlò di “cantieri fermi” in assenza di progettazioni e di “bassa produzione”, ma con 1.047 milioni di euro – oltre un miliardo – di fondi disponibili.

Dunque la differenza che serve è una classe dirigente responsabile che riprenda in mano la città per restituirle i suoi limiti, il suo equilibrio perduto, il senso di responsabilità che non c’è stato, con coraggio e competenza, senza guardare in faccia nessuno ma con un unico obiettivo: la salvaguardia di Venezia, l’antica, straordinaria opera dell’uomo caduta in un degrado civile e politico che è il vero atto d’accusa di oggi.

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