In due aule differenti si celebrano i processi per la morte di Stefano Cucchi. Il primo va verso la sentenza, che arriverà probabilmente giovedì 14 novembre, ed è quello per l’omicidio del geometra arrestato il 15 ottobre del 2009 per droga e spirato sette giorni dopo all’ospedale Sandro Pertini di Roma. L’altro è quello per chi cercò, secondo la procura, di insabbiare le violenze subite dall’uomo mentre era in custodia dei carabinieri che lo arrestarono.

Il dibattimento per il depistaggio ipotizzato dalla procura, in cui sono imputati otto carabinieri, è stato rinviato perché in apertura dell’udienza il giudice, Federico Bonagalvagno che spiegando di essere un ex appartenente dell’Arma attualmente in congedo. La decisione del magistrato è legata all’iniziativa dei legali dei familiari di Stefano Cucchi che avevano chiesto al giudice monocratico di astenersi dopo aver appreso da fonti aperte che Bonagalvagno aveva organizzato convegni a cui avevano partecipato alti ufficiali dell’Arma. Il nuovo giudice monocratico nominato è Giulia Cavallone. Il ministero della Giustizia ha presentato istanza di costituzione di parte civile. Tra le parti civili già costituite ci sono la presidenza del Consiglio dei ministri e l’Arma.

Gli otto imputati sono tutti carabinieri, tra cui alti ufficiali, accusati a vario titolo e a seconda delle posizioni di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Si tratta del generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma, e altre sette carabinieri, tra cui Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma, Francesco Cavallo, all’epoca dei fatti tenente colonnello e capo ufficio del comando del Gruppo Roma; Luciano Soligo, all’epoca dei fatti maggiore dell’Arma e comandante della compagnia Roma Montesacro; Massimiliano Colombo Labriola, all’epoca dei fatti comandante della stazione di Tor Sapienza; Francesco Di Sano, all’epoca in servizio alla stazione di Tor Sapienza; Tiziano Testarmata, comandante della quarta sezione del nucleo investigativo dei Carabinieri e il carabiniere Luca De Cianni, accusato di falso e di calunnia.

Tra le persone chiamate a testimoniare dalla difesa di Casarsa c’è anche il pm Vincenzo Barba, che per primo si occupò dell’inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi,L’avvocato Carlo Longari ha inserito il magistrato nella lista testi in relazione alla documentazione medico legale ‘ufficiosa’ che sarebbe stata scritta prima del rapporto finale sull’autopsia e della quale sarebbe stato messo a conoscenza il Comando provinciale dei carabinieri. Sul punto viene citato come teste anche il generale Vittorio Tomasone, all’epoca dei fatti comandante del comando provinciale di Roma. Tomasone è stato già sentito nell’ambito del processo per il pestaggio.

All’udienza non erano presenti Ilaria Cucchi e l’avvocato Fabio Anselmo perché in un’altra aula ci sono le arringhe dei difensori dei cinque carabinieri sotto processo per la morte. -In questo processo si sta facendo una caccia alle streghe perché si vuole trovare il colpevole di una morte ingiusta, una morte ingiusta ma non un omicidio” ha detto l’avvocato Antonella De Benedictis, difensore del carabiniere Alessio Di Bernardo: “Cucchi e la sua famiglia hanno subito una grande ingiustizia, lo Stato non ha saputo difendere un ragazzo, che era l’ultimo degli ultimi e i suoi genitori non hanno neanche potuto vederlo in ospedale” ha aggiunto l’avvocato.

Per Di Bernardo il pm Giovanni Musarò, durante la requisitoria, aveva chiesto 18 anni. Stessa richiesta di pena per Raffaele D’Alessandro, i due carabinieri considerati autori del pestaggio. Di Bernardo e D’Alessandro sono accusati di omicidio preterintenzionale in concorso con Francesco Tedesco, il militare che nel corso del procedimento ha accusato i due colleghi. Per Tedesco il pm ha chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto sul reato di omicidio preterintenzionale e la condanna a tre anni e sei mesi per il reato di falso nella compilazione del verbale di arresto. Di questo risponde insieme al maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti a capo della stazione Appia, dove venne eseguito l’arresto. Per Mandolini il pm ha chiesto otto anni di carcere e interdizione perpetua dai pubblici uffici. Chiesto il non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato di calunnia nei confronti di Mandolini, Tedesco e Vincenzo Nicolardi, anche lui carabiniere, a giudizio per le calunnie contro i tre agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso del primo processo. “Chiediamo pene giuste, non esemplari”.

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