Questo nome, Amedspor, sfuggirà alla maggior parte dei nostri lettori, ma per uno come Deniz è diverso. Per uno come lui, un curdo alevita cresciuto con i racconti di Dêrsîm, è la chiamata della vita. Innanzitutto l’Amedspor è la squadra regina di Diyarbakir, la capitale (non riconosciuta) del Kurdistan turco, e del Kurdistan l’Amedspor è anche un po’ la Nazionale. Sul piatto poi i dirigenti del club mettono la fascia di capitano, che vorrebbero avvolta al braccio di Naki. Insomma, le chiacchiere stanno a zero. E poco importa se la formazione curda gioca nell’equivalente turco della nostra Serie C: Deniz sposa la causa e lo fa fino in fondo. In campo il ragazzo segna e si carica i compagni sulle spalle, fuori fa la stessa cosa con il suo popolo. A ogni intervista ribadisce le sue posizioni e attacca chi ferisce la causa curda, mentre i suoi profili social fioriscono di slogan e inviti a resistere, a manifestare. La sua sola presenza si traduce in un attacco diretto all’autorità di Erdogan e il 31 gennaio 2016 la scintilla diventa fiamma. Quella sera l’Amedspor elimina il ben più quotato Bursaspor dalla coppa nazionale. Naki segna il secondo gol e festeggia con un tweet: “Siamo fieri di essere un piccolo spiraglio di luce per la nostra gente in difficoltà. Come Amedspor, non ci siamo sottomessi e non ci sottometteremo. Lunga vita alla libertà!”. Azadî, ancora una volta. Tutto precipita.
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La Nazionale che non c’è - 4/5
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