Tre punti su ventinove delle linee programmatiche del secondo governo Conte, quello giallo-rosso, riguardano la trasformazione digitale del Paese. Il dieci per cento del programma, a voler applicare la matematica ai programmi, ai propositi e alle buone intenzioni pur nella consapevolezza che di matematico nelle cose della politica c’è poco.

Cittadinanza digitale e accesso alla Rete per tutti in modo da favorire la partecipazione democratica e la trasformazione tecnologica recita il ventitreesimo punto, al quale fa eco il ventiquattresimo che identifica l’innovazione tecnologica quale vettore di crescita economica del Paese e indica aumento degli investimenti, diffusione delle competenze digitali e digitalizzazione della Pubblica Amministrazione come obiettivi da non mancare.

E sono, per una volta, corrette, moderne, azzeccate le parole messe in fila per tratteggiare i buoni propositi digitali: integrazione tecnologica, interoperabilità, valorizzazione dei dati pubblici e standard comune. L’ultimo punto delle linee programmatiche del governo giallo-rosso dedicato al digitale, il ventiseiesimo, parla di equità fiscale, portabilità dei dati e diritti dei lavoratori digitali, questioni, obiettivamente centrali – comunque la si pensi su web tax e dintorni – nella governance globale dell’innovazione.

Difficile, oggettivamente, augurarsi di leggere di più e di meglio in materia di innovazione in un programma di governo. E non basta perché, dopo tredici anni anni, l’Italia ha, finalmente, di nuovo, un ministro per l’Innovazione tecnologica; l’ultimo era stato Lucio Stanca (2001-2006). La nuova ministra è Paola Pisano (M5S), attualmente assessore all’Innovazione al Comune di Torino con alle spalle un’esperienza ricca e reale nelle cose delle tecnologie.

Una Signora Ministra per l’innovazione tecnologica.

Ce ne sarebbe già abbastanza per nutrire fondate speranze per un’Italia digitale. Ma c’è di più.

Il governo precedente, infatti, poco prima che gli eventi precipitassero, aveva istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un Dipartimento per la trasformazione digitale, destinato a ereditare l’esperienza e le competenze del team per la trasformazione digitale a supporto del Commissario straordinario per l’attuazione dell’agenda digitale, Luca Attias – succeduto nell’incarico a Diego Piacentini – e a rappresentare il disegnatore e, in alcuni casi, il programmatore del sistema operativo del Paese quanto ai processi e progetti di trasformazione digitale.

Mentre con la regia del Ministero dello Sviluppo Economico, sempre il primo governo Conte, tra fondo nazionale per l’innovazione, strategia per il 5G e per l’intelligenza artificiale aveva gettato fondamenta importanti per una svolta digitale del Paese.

Le premesse, dunque, perché sia la volta buona per fare un’Italia digitale, moderna, accessibile e a misura di cittadino ci sono tutte, ci sono davvero. Poi, naturalmente, tra le premesse, i programmi, i buoni auspici e i fatti il passo è lungo e la strada, specie quando si parte da una condizione come quella dalla quale muove il nostro Paese, è in salita e tortuosa.

Ora, il primo giro di boa importante per il secondo governo Conte, per quanto riguarda le cose del digitale sarà quello delle deleghe al neo-istituito ministero per l’Innovazione tecnologica. Non si possono fare errori perché sarebbe fatale e ne andrebbe dell’efficienza dell’azione di governo.

Al ministro per l’Innovazione tecnologica servono tutte le deleghe alla trasformazione digitale dell’amministrazione – per intenderci quelle tradizionalmente toccate al Ministero della Funzione Pubblica – e servono le deleghe alla trasformazione digitale del Paese ovvero all’attuazione, a tutto tondo, dell’agenda digitale anche nell’ecosistema privato. Il Ministero dell’innovazione deve diventare la cabina di regia della trasformazione digitale del Paese. Sarebbe un errore continuare a tenere distinta la trasformazione digitale pubblica da quella privata perché sono due facce della stessa medaglia.

Agli altri ministeri deve andare l’attuazione verticale, per area di competenza, di linee di azione pensate, disegnate, progettate al centro, in una cabina di regia unitaria. Ogni duplicazione e sovrapposizione di competenza va eliminata, cancellata, rasa al suolo perché responsabile, in buona misura, dei ritardi digitali accumulati sin qui.

Il secondo giro di boa, naturalmente, sarà la formazione della squadra. Bene che la guida dei Ministeri sia politica e tanto meglio se, come nel caso della ministra dell’Innovazione, sia toccata a una politica con alle spalle una solida esperienza tecnica ma la squadra, lo staff, i pensatoi del Ministero devono ora riempirsi di tecnici, innovatori veri, visionari. Il merito, le competenze, le esperienze devono essere l’unica guida, la politica deve assolutamente fare un passo indietro e la burocrazia – che non è una parolaccia – deve limitarsi a essere la forma ordinata e democratica di attuazione delle idee e dei progetti già tratteggiati nelle linee programmatiche del secondo governo Conte.

Terzo e ultimo giro di boa, probabilmente il più importante, le competenze che saranno attribuite al nuovo Ministero dovranno essere bilanciate, una per una, con adeguate risorse umane e finanziarie perché rimpinzare un Ministero di competenze cui non è in grado di sovrintendere non solo non serve a nulla ma è controproducente.

C’è spazio per sperare, c’è spazio per realizzare progetti importanti ai quali si lavora da anni e farne di nuovi ma, naturalmente, c’è spazio anche per dissipare un patrimonio prezioso e sprecare un’occasione non comune, almeno nel nostro Paese, per dare davvero i natali a una Repubblica digitale.

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