L’introduzione dell’educazione civica dall’anno scolastico 2019/2020 è in alto mare. Dopo la pubblicazione della legge che l’ha reintrodotta in Gazzetta Ufficiale entro il 16 agosto, data ultima affinché potesse partire il tutto dal 1 settembre come previsto dal primo comma dell’articolo 2, il ministro dell’Istruzione ha deciso di aggirare il problema scrivendo un decreto che istituisce l’educazione civica come sperimentazione.

La soluzione consentirebbe di partire già da questo anno scolastico con l’insegnamento obbligatorio attraverso una sperimentazione nazionale in tutte le scuole del primo e secondo ciclo di istruzione del sistema nazionale. Ma a questo punto il parere del Consiglio superiore della pubblica istruzione è obbligatorio in caso di sperimentazioni nazionali. Di qui la richiesta inviata nei giorni scorsi dal ministro Marco Bussetti al Consiglio affinché si esprimesse con procedura d’urgenza per poter procedere, poi, alla successiva firma. Una richiesta respinta: il Consiglio ha deciso di pronunciarsi convocando una riunione l’11 settembre, quando le scuole saranno partite e avranno già fatto i primi collegi dei docenti.

Un problema che potrebbe quindi mettere in seria discussione l’avvio già da quest’anno dell’insegnamento. Ufficialmente in viale Trastevere nessuno ha intenzione di smentire la volontà del ministro che resta quella di vedere già quest’anno i ragazzi studiare la Costituzione sui banchi di scuola ma la verità sembra essere un’altra. Intanto voci di corridoio raccolte al Cspi fanno pensare che il parere possa essere tutt’altro che positivo, dal momento che ci si trova di fronte ad una legge che prevede l’invarianza di bilancio e non stabilisce con esattezza chi alla scuola primaria e secondaria di primo grado debba insegnare la materia.

Altro aspetto critico sollevato da alcuni esponenti del Consiglio superiore della pubblica istruzione è la previsione di 33 ore di insegnamento senza alcuna modifica dell’orario curriculare: questo andrebbe ad incidere sul taglio di qualche materia. Di fronte ad un parere negativo a quel punto non sarà più Bussetti a decidere ma il suo successore. Questo significa che la patata bollente sarà scaricata su chi arriverà alla guida del ministero dell’Istruzione, che avrà il compito di decidere se firmare il decreto nonostante l’eventuale parere negativo del Cspi e il ritardo della decisione.

Sulla questione è molto chiaro il presidente del Consiglio superiore, Francesco Scrima: “Abbiamo ricevuto la richiesta della procedura d’urgenza ma vista la complessità della materia non si poteva adottare un procedimento con quel carattere. Hanno optato per la sperimentazione di carattere strutturale. Ora il nostro parere sarà obbligatorio anche se non vincolante. Ho convocato il Consiglio per l’11 settembre. Nel frattempo ho nominato le commissioni per preparare l’istruttoria”.

Articolo Precedente

All’università, oggi come 20 anni fa, sono tutti mascalzoni (fino a prova contraria)

next
Articolo Successivo

Educazione civica, la scuola saprà essere al passo coi tempi?

next