“Il mio disegno, se ce n’è uno, è… far confluire le diversità all’interno di un unico disegno per trarne qualcosa di nuovo. Mi piacerebbe che ci fosse una dimensione culturale il più possibile complessa, con grandi diversità al suo interno ma anche con una grande omogeneità rispetto agli obiettivi, nell’essere squadra e nel reinventarsi questa rete”. Teresa De Santis, direttore di Rai 1, interrogata a febbraio su come immaginasse l’ammiraglia della tv di Stato, non aveva dubbi. “Sarebbe stata la tv degli italiani”, aveva detto. E così è stato. Nessuna falsa promessa. Per questo è stato realizzato Grand Tour.

Trasmissione ambiziosa descritta alla perfezione dall’Ufficio Stampa Rai. “Da venerdì 1 agosto, e per cinque prime serate su Rai1, alle 21.25 parte un viaggio alla scoperta delle bellezze italiane, in quei luoghi capaci di incantare, meravigliare e sorprendere: dalla Puglia alla Liguria, dalla Lombardia alla Sardegna e al Veneto… Al timone di Grand Tour ci sarà uno dei volti femminili più amati dagli italiani, quello di Lorella Cuccarini, assieme ad Angelo Mellone, giornalista e scrittore, accompagnati dalle incursioni di Giuseppe Calabrese, in arte Peppone”. Insomma una trasmissione che prometteva molto. Peccato che i risultati più che modesti registrati dalle prime tre puntate ne abbiano decretato la fine. Anticipata.

L’audience al di sotto delle aspettative ha costretto i vertici della Rai ad interromperne la programmazione. A vederla così la chiusura potrebbe anche sembrare un’ingiustizia. Un programma di qualità non apprezzato quanto avrebbe dovuto e per questo “sacrificato”. E’ già accaduto che lo share abbia deciso la sorte di trasmissioni. Non è così stavolta. Non è solo questo. Insomma non è tutta colpa del numero ridotto di telespettatori che hanno deciso di vederlo, il Grand Tour. La verità è che nelle tre puntate che sono andate in onda sono emerse chiaramente le pecche. I limiti per così dire strutturali del programma.

Già perché è indubitabile che l’idea del “viaggio alla scoperta delle bellezze italiane, di quei luoghi capaci di incantare, meravigliare e sorprendere” non fosse male. D’altra parte gli italiani molto spesso ignorano i luoghi sorprendenti che arricchiscono il Paese. Le meraviglie capillarmente sparse dalle montagne al mare, lungo tutto lo stivale. Quindi evviva occasioni per provare a conoscerli quei luoghi. Il problema però è che la buona idea iniziale è stata declinata in maniera sconclusionata. Come? Confezionando un prodotto ad inserti sovrapposti. Ognuno con un suo protagonista. Con la speranza che il risultato finale fosse una sorta di somma algebrica delle diverse parti. Invece non è accaduto così. Quasi mai.

Le camminate di Angelo Mellone attraverso tracciati antichi oppure dal mare alla montagna hanno sostanzialmente funzionato. E’ risultato credibile ed interessante il suo viaggio attraverso la storia e la natura. Ha regalato emozioni la sua immersione nel paesaggio. Anche i testi sono stati all’altezza dei luoghi percorsi. Quel che è sembrato debole sono state le parti affidate a Lorella Cuccarini e “Peppone”. Entrambi incapaci di mostrarsi guide affidabili e non improvvisate del viaggio. L’una e l’altro inadeguati ad un ruolo che pur volendo essere “leggero” non avrebbe dovuto essere monocorde. Se a Mellone gli autori avevano affidato la parte più impegnativa del viaggio, alla Cuccarini e a Peppone è toccata in sorte quella più leggera.

Da un lato, in Puglia, le testimonianze archeologiche lungo la via Francigena, dall’altro orecchiette e taralli. Da un lato, in Liguria, i vicoli genovesi nei quali ricordare De Andrè, dall’altro le incursioni gastronomiche alle Cinque Terre. Per questo motivo, non di rado, nel corso delle puntate in onda gli inserti della Cuccarini e di Peppone hanno dato l’impressione di togliere spazio al viaggio di Mellone. L’unico che davvero meritava di essere seguito. La bellezza delle immagini avrebbe meritato testi, a parte quelli di Mellone, migliori.

Confesso senza pudore di aver anche provato a togliere l’audio, lasciando così spazio esclusivamente alla suggestione delle immagini. In questo modo sono riuscito ad apprezzare anche le parti più incolori. Ma è evidente che non poteva essere questa la soluzione. La trasmissione ha dunque fallito. Ma non per lo share, come sostengono in Rai. Piuttosto per la qualità complessiva, quasi mortificante per molti telespettatori. L’idea che un programma non possa essere esclusivamente di livello, ma debba contenere parti sostanzialmente qualunquiste, è sbagliata. Sarebbe bastato che Grand Tour fosse stato un viaggio. Uno solo. Nel quale la storia lasciasse spazio anche alla gastronomia, l’architettura alla musica. Un viaggio insomma che regalasse qualcosa. Non ci si deve vergognare di fare Cultura. Non lo può fare il servizio pubblico.

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