Oggi l’epidemia di peste suina africana è diffusa in tre continenti Africa, Asia ed Europa. In tutto, in una cinquantina di nazioni. Secondo una stima dell’Organizzazione mondiale della sanità animale (Oie), tra il 2016 e il maggio 2019 ha provocato la perdita di oltre 2,5 milioni di animali (considerando quelli morti e quelli abbattuti). In pratica, ci informa il responsabile del centro nazionale per le pesti suine, il virus “ha già colpito il 75 per cento della popolazione suina mondiale”, specialmente in Cina e Vietnam.

La psa è stata rilevata per la prima volta nel 1921, in Kenya e si è radicata nelle regioni sub-sahariane del continente africano. Alla fine degli anni Cinquanta la malattia arriva in Europa, con focolai registrati in Portogallo, Spagna, Malta, Francia, Belgio, Olanda, ma viene successivamente eradicata. Mentre in Sardegna, dove si diffonde attraverso gli scarti alimentari delle navi a partire dal 1978, diventa endemica. L’America del Sud se ne libera definitivamente negli anni Novanta. La progressione del virus nel resto del mondo però non si ferma. Nel 2007 si manifesta nelle regioni caucasiche di Georgia, Armenia, Azerbaigian. Poi si sposta verso nord, in Russia, Ucraina e Bielorussia. Dal 2014 riappare nei Paesi dell’Unione europea. Dalla Lituania, dove viene notificata in alcuni cinghiali selvatici, si propaga in Polonia, Lettonia, Estonia, Moldavia (dal 2016), Repubblica Ceca e Romania (dal 2017), Ungheria e Bulgaria (dal 2018). Nell’agosto dello scorso anno fa la sua prima comparsa in Cina e dopo un mese vengono confermati nuovi casi nell’Europa nord-occidentale: in Belgio (dove l’ultimo caso era stato debellato nel 1985), vicino al confine con il Lussemburgo e la Francia, le carcasse di alcuni cinghiali risultano positive alla psa. Infine, a gennaio di quest’anno, esplode per la prima volta in Mongolia. A seguire in Vietnam, Cambogia, Hong Kong. E nelle ultime settimane in Laos e Corea del Nord.

“Anche la nostra penisola è a rischio di introduzione del virus – ci mette in guardia De Mia -. Il timore è che cinghiali selvatici affetti dal virus varchino il confine a Nord-Est, entrando in Friuli dalla Slovenia”. A quel punto sarebbe un disastro. Il settore italiano dei salumi e delle carni di maiale subirebbe ingenti perdite economiche mettendo in ginocchio centinaia di aziende.

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