Quando alcune associazioni della scuola hanno convocato per il 7 luglio prossimo un’assemblea contro ogni regionalizzazione presso l’aula magna del Liceo classico Tasso non si pensava che l’accelerazione del governo gialloverde sul tema sarebbe stata così immediata: il prossimo mercoledì l’autonomia differenziata (la “secessione dei ricchi”, come l’ha chiamata il prof. Gianfranco Viesti) verrà discussa in consiglio dei ministri.

La riforma del Titolo V della Costituzione, frutto, nel 2001, dell’accordo tra il Pds e Forza Italia per arginare le mire secessionistiche della Lega Nord Padania, ha reso oggi possibile la richiesta delle regioni di annettersi definitivamente la legislazione di tutte o solo alcune delle 23 materie che l’articolo 117 della Costituzione, riformato nel 2001, al c. 3, destina alla legislazione concorrente Stato-regioni; tra esse sanità, sicurezza sul lavoro, beni culturali, ricerca, infrastrutture. Inoltre, passeranno alle Regioni le norme generali sull’istruzione, sottratte alla esclusiva competenza dello Stato, secondo l’art. 116, c. 3, riformato, insieme a  tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

Ne sapevate qualcosa? Molto poco, c’è da esserne sicuri. Ce lo racconta il costituzionalista Massimo Villone: decine di incontri “segreti” si sono verificati tra la delegazione del governo e le singole regioni da quando, il 28 febbraio del 2018 – a soli 4 giorni dalle elezioni – il governo Gentiloni, a Camere sciolte e preposto all’esclusivo disbrigo degli affari correnti, sigla il preaccordo con le regioni Veneto, Lombardia, Emilia Romagna. Ciascuna con richieste differenti; tutte con la medesima convinzione: paghiamo più tasse – e quindi le tratteniamo e gestiamo noi; esigiamo più e migliori servizi: potenzialmente 20 sistemi scolastici differenti (con la conseguente abrogazione del valore legale del titolo di studio e gli istituti scolastici definitivamente sul mercato); 20 sistemi sanitari (e la definitiva distruzione del Ssn); e così via. Cancellazione del senso e del valore del Contratto Collettivo Nazionale, ridotto a poco più di un accordo di cornice su cui interverranno contratti regionali.

Le conquiste dei lavoratori rivisitate alla luce dell’orientamento politico della regione, e non nell’ambito di un sistema di tutele, diritti e doveri per tutte/i: come si può leggere dalle bozze di intesa pubblicate dalla rivista Roars. Dal prima gli italiani, a prima alcuni italiani: i più ricchi, i presunti produttivi, coloro che vengono percepiti in diritto di scrollarsi dalle spalle il pesante fardello del Sud per agganciarsi alla rombante locomotiva del Nord. Tutto in un’incredibile pratica di occultamento di cui siamo intenzionalmente tenuti all’oscuro. Benvenuti nel governo gialloverde, che – quanto a misteri e trame – non teme confronti con gli anni degli ultimi rantoli della prima Repubblica o con le mostruosità che stanno emergendo dalle inchieste giudiziarie sul Pd renziano.

E i principi di uguaglianza, solidarietà, pari opportunità? E l’interesse generale, la funzione della Repubblica, i diritti civili (e la funzione strategica del principio della libertà dell’insegnamento su tutti) e quelli sociali? Se dovesse passare il provvedimento, l’Italia “differenziata” non sarà più una Repubblica democratica fondata sul lavoro e non sarà più compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona: saremo un popolo parcellizzato, vincolato e mosso non più su una comune appartenenza politica, etica, culturale; ma sulla rivalsa, sulla rivendicazione rancorosa dei propri privilegi, servizi, diritti. Ciascuno per sé; l’individualismo, il localismo come paradigma. Fine di un modello sociale, politico, culturale. I diritti universali – già di fatto minati dalla modifica dell’art. 81 della Costituzione, che vi ha inserito l’equilibrio di bilancio – saranno un optional più o meno raggiungibile non perché sia compito della Repubblica garantirli, ma sulla base del certificato di residenza.

Per questo l’assemblea del 7 luglio a Roma è importante. Moltissime le associazioni e i soggetti che hanno aderito per il momento. Il tentativo di de-forma costituzionale imposta dal governo Renzi nel 2016 e sventata dal voto del 4 dicembre di quell’anno non fu nulla in confronto. Oggi il contratto di governo prevede al punto 20 l’impegno dei due contraenti sul tema. Il M5s non sembra volersi opporre al cavallo di battaglia della Lega, dopo essersi fatto paladino – in campagna elettorale – della difesa della scuola della Repubblica. Il Pd propugna l’autonomia sul modello dell’Emilia Romagna del presidente Bonaccini (Pd), una delle 3 regioni al momento coinvolte. Si tratta dell’inizio di un percorso che le energie sociali, civili e politiche che si oppongono intransigentemente allo stravolgimento definitivo della prima parte della Costituzione repubblicana, fondata sull’antifascimo, hanno il dovere e la responsabilità di portare avanti.

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