A proposito di un emendamento che prevedeva di usare i fondi per il Sud nelle Regioni, il Ministro Barbara Lezzi ha dichiarato: “Questo emendamento, che aveva anche il parere contrario della Ragioneria dello Stato e che non verrà mai votato dai parlamentari del Sud del M5s – ha aggiunto – ha rappresentato un atto di totale scorrettezza. Chiunque lo abbia presentato, Lega o non Lega, dovrà chiedere scusa e dare delle spiegazioni”.

Dal punto di vista dei cittadini, l’idea di spostare sulle Regioni i fondi per il Sud può non essere malvagia, purché queste siano in grado di spenderli, i fondi. E purché siano Regioni del Sud, (come pare fosse scritto nell’emendamento, leggendo il pezzo sul Sole24Ore) visto che di fondi per il Sud si tratta. Invero, disponendo di un ministero per il Sud, ci si aspetta una visione dell’intervento che trascenda le prospettive limitate degli enti locali, in previsione di una visione di sistema e non localistica. Quindi, il processo innescato dall’emendamento, pare quantomeno contraddittorio.

E qui, va detto, i tanti eventi precedenti fanno sorgere qualche perplessità, visto che è una vecchia abitudine quella di parlare male, a bocca piena, del Sud spendaccione, usando con una mano i suoi soldi. Ripercorriamo allora, a grandi passi, le consuetudini invalse negli ultimi trent’anni di storia di patria e di spesa di fondi per il Sud. Ricordiamo che i fondi di Sviluppo e Coesione costituiscono uno strumento finanziario con cui si attuano le politiche per la rimozione degli squilibri economici e sociali nel paese, in attuazione dell’art. 119 della nostra Costituzione. Ricordiamo che la Legge di Stabilità per il 2014 (Letta Premier) aveva introdotto il principio di territorialità per i Piani di Sviluppo e Coesione, stabilendo che l’80% della spesa dovesse riguardare le regioni meridionali, proprio per attenuare i divari e realizzare le infrastrutture mancanti. Se quella percentuale è stata fissata, ci sarà una ragione, no? Una ripassata può far bene (qui prendo dati da La questione italiana di Francesco Barbagallo e da La questione meridionale in breve, di Guido Pescosolido). Quando nel 1994-95 Berlusconi e Dini definirono le “aree depresse del territorio nazionale”, beneficiarie dei finanziamenti europei, la Lega (all’epoca Lega Nord), già al Governo del Paese, vi incluse, tramite il proprio ministro, alcune delle aree più ricche e industrializzate d’Europa, in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna. E qui la Cassa per il Mezzogiorno era già defunta, si badi bene. Questi interventi, poi, furono anche defiscalizzati. Dei trenta milioni di italiani che dovevano risultare beneficiari dei fondi europei in aree depresse, ben 11,5 erano settentrionali di “ricche aree depresse”.

Nel 2002, ancora, il governo Berlusconi istituì il Fondo per le Aree Sottoutilizzate (Fas), orientato all’unificazione delle risorse aggiuntive nazionali da destinare alle aree depresse. Il Cnel, però, ha valutato in 26 miliardi le risorse Fas dirottate verso impieghi diversi dalle originarie finalità del Fondo, contribuendo a sminuire, nel corso di un decennio, l’efficacia anche di questa misura, inizialmente pensata per le politiche di coesione. Come scrive Guido Pescosolido, la gestione dei fondi strutturali europei nei primi anni Duemila, affidata alle regioni, riuscì “a scrivere una storia di fallimenti a fronte della quale l’efficienza della Cassa (per il Mezzogiorno) rifulge di luce purissima”.

Proprio in quegli anni, la spesa pubblica per il Sud, in conto capitale, scendeva dal 41% al 32%. Scrive Francesco Barbagallo, “Tra il 2008 e il 2010 le risorse del Fas saranno destinate verso aree non comprese nelle politiche di coesione dirottate verso le tante emergenze prodotte dalla crisi”. Intanto, gli effetti si cumulano e il federalismo fiscale fa sentire il suo peso: già nel 2011 Svimez osservava che, in rapporto al Pil di area, i cittadini meridionali pagano più imposte degli abitanti del Centro-Nord. Le imposte comunali sono aumentate del 151% al Sud, nel resto del Paese dell’82%.

Come faceva osservare Adriano Giannola, tutto ciò comportava aumento della pressione fiscale e una contestuale fornitura di servizi insufficienti. Veniamo, infine, alla Legge di Stabilità 2015: come spiega bene Andrea Del Monaco nel saggio Sud Colonia tedesca – La questione meridionale oggi, Renzi decise di violare tale principio di territorialità, pagando gli sgravi contributivi del Jobs Act su tutto il territorio nazionale, prelevando ben 3,5 miliardi di euro. C’è da restar “depressi”, in effetti.

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