Immaginate di aver denunciato o fatto condannare per violenze il vostro ex. Immaginate che nessuno gli abbia chiesto di assumersi la responsabilità delle azioni violente, del dolore e dei traumi inflitti ai famigliari e che un tribunale gli affidi i figli che hanno assistito alle sue violenze. Immaginate di essere una donna che deve continuare a relazionarsi con quell’uomo violento per i figli. Una storia così la conosco già. E’ la storia di una donna che si confidò con me anni fa, mi raccontò di essere picchiata o insultata ogni volta che andava a prendere i bambini a casa dell’ex marito. Una donna che aveva smesso di denunciare. Delusa da uno Stato che l’aveva lasciata sola e in ostaggio delle violenze di un uomo.

Il patriarcato resiste come un cancro che ha mille metastasi.

Quello che è accaduto a Padova non è un singolo caso ma rischia di diventare una prassi consolidata nei nostri tribunali. Per 17 anni un uomo ha maltrattato la moglie. L’ha vessata, picchiata fino a provocarle lesioni permanenti (così riporta il Corriere Veneto), l’ha denigrata, isolata e lasciata senza soldi e senza cibo. In sede penale quest’uomo è stato condannato in primo e secondo grado per maltrattamenti con l’aggravante della violenza assistita ma per il tribunale civile di Padova, è un buon padre ed è in grado di essere un educatore. Il decreto descrive quest’uomo che in quei lunghi 17 anni ha anche minacciato di morte la moglie come la “figura maggiormente idonea a garantire stabilità emotiva e accudimento del minore” accogliendo tutte le conclusioni della Ctu – la Consulente tecnica d’ufficio. Il centro antiviolenza Progetti Donna di Padova ha stigmatizzato la decisione del tribunale civile che nel decreto ha scritto “che il padre non è stato maltrattante verso i figli” dimenticando la condanna con l’aggravante per violenza assistita.

L’avvocata Titti Carrano (Donne in rete contro la violenza) ha spiegato che “Ci troviamo davanti ad un decreto che disapplica e vìola diverse leggi. Disattende la Convenzione di Istanbul che all’articolo 31 raccomanda prendere considerazione gli episodi violenza quando si tratta di stabilire il diritto di visita dei figli per non compromettere i diritti di sicurezza della vittima e dei figli; non rispetta la Cedaw e la direttiva 2012/29 del Parlamento Europeo e dell’Unione europea in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e infine non rispetta nemmeno la Costituzione”.

Carrano ricorda la sentenza 29/01/2016 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che impone di rispettare gli obblighi internazionali. Ma il caso di Padova non è isolato. Le donne che denunciano violenze sono rivittimizzate quando nei tribunali si confonde il conflitto con la violenza o quando si affidano i figli ai violenti senza tener conto dei loro comportamenti. I giudici hanno rinunciato ad essere il perito dei periti e applicano quanto deciso nelle Ctu redatte da consulenti inesperti o formati nel credo della Pas, o Ap, o conflitto di lealtà. Qualunque nome si dia alla “Cosa”, il risultato non cambia se si spiega il rifiuto o la paura del padre da parte dei figli automaticamente come frutto della manipolazione materna senza considerare la violenza familiare.

Queste prassi sono diventate una sorta di veto alle leggi internazionali e nazionali che sanzionano la violenza nelle relazioni di intimità, deludono la richiesta di protezione e giustizia da parte delle vittime, non responsabilizzano i violenti e non proteggono i minori da cattivi padri. “Si tratta di situazioni che rivittimizzano le donne – ha spiegato Titti Carrano – le lasciano sfiduciate e con un senso di impotenza e rafforzano i violenti e il loro senso di impunità rendendoli ancora più minacciosi o pericolosi”. Una situazione che non è solo italiana ed è legata ad una strisciante spinta reazionaria contro l’emersione del fenomeno della violenza contro le donne.

Recentemente gli organismi internazionali che hanno come obiettivo la tutela di donne vittime di violenza (Cedaw, Grevio, Onu, ecc) hanno redatto un documento manifestando preoccupazione per quanto avviene nelle giurisdizioni a livello mondiale perché hanno verificato, dopo aver monitorato le sentenze in diversi Stati, che la violenza del partner nella determinazione dei diritti di custodia dei figli viene completamente ignorata. Si rischia di tornare al padre e padrone e già ci sono state vittime tra i bambini perché i padri padroni uccidono! Negli Stati Uniti si può ricordare tra i tanti, il caso Gonzales che è analogo a quello di Federico Barakat: un padre abusante, durante una visita non supervisionata, uccise la figlia e successivamente si tolse la vita.

Durante la conferenza “I diritti delle donne ad un incrocio: rafforzando la cooperazione internazionale per superare il divario tra quadri legislativi e la loro attuazione” organizzata dal Consiglio d’Europa il 24 maggio 2019 a Strasburgo (Francia) si sono invitati gli Stati a prestare attenzione e rispettare gli standard internazionali che richiedono che la violenza del partner su una donna sia tenuta in considerazione quando si stabilisce la custodia dei figli. Sulle spalle delle donne continua a pesare il pregiudizio di genere: la loro parola ha meno peso e valore della parola degli uomini. La propaganda sessista sulle false accuse delle donne, l’alienazione parentale (teoria spazzatura), le tesi dei movimenti reazionari e mascolinisti che mirano ad azzerare i diritti delle donne e a far calare il silenzio sulla violenza famigliare, sono entrati dentro i nostri tribunali perché hanno trovato orecchie disposte ad ascoltare.

La Giustizia misura la nostra democrazia ed è evidente che non c’è ancora abbastanza democrazia per le donne e i loro diritti se la denuncia di violenza ricade come un sospetto e un pregiudizio sulla vittima. Se l’istituzione avvera la minaccia dei violenti “tu parla, separati e ti toglierò i figli” è evidente che le donne denunceranno sempre meno le violenze. Il 1 luglio prossimo a Padova si terrà il processo d’appello contro il decreto che ha lasciato l’affidamento di un bambino ad un padre condannato per violenza e c’è una donna che ha attraversato l’inferno per 17 anni e aspetta giustizia per sé e per il figlio.

@nadiesdaa

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