“Accade ogni giorno, anche in Italia, quello che è accaduto negli anni a Noa Pothoven”, la ragazza di 17 anni che alla fine si è lasciata morire di fame e di sete perché non riusciva a sopportare la depressione e lo stress post traumatico causati dalle violenze subite quando di anni ne aveva 11 e che l’avevano condotta anche all’anoressia. La ragazzina aveva denunciato nel suo libro Vincere o imparare che nei Paesi Bassi non ci sono strutture specializzate dove gli adolescenti possano ottenere supporto fisico o psicologico in casi simili. Una denuncia che potrebbe destare meraviglia, ma non a chi da anni combatte per portare alla luce le carenze del sistema di supporto neuropsichiatrico per l’infanzia e l’adolescenza, anche nel nostro Paese, dove per tutti i disturbi neuropsichici infantili sono disponibili solo 350 posti letto. Carenze comuni a molti Paesi europei. A spiegarlo a ilfattoquotidiano.it è Maria Antonella Costantino, direttrice dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, secondo cui in tutto il mondo i disturbi neuropsichiatrici vengono sottovalutati rispetto alle altre patologie.

UNA RISPOSTA INSUFFICIENTE – “È un problema drammatico come abbiamo più volte segnalato”, spiega la presidente della Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile. Quindi ciò che ha denunciato Noa Pothoven, ossia l’assenza di sostengo nei Paesi Bassi per gli adolescenti che soffrono di queste patologie, potrebbe riguardare anche quelli che vivono nel nostro Paese? “Non v’è dubbio”. Parlano i dati: solo un ragazzo su due riesce ad arrivare a diagnosi e uno su tre a intraprendere un percorso terapeutico. Nel nostro Paese tre quarti dei ragazzini non hanno una risposta dal servizio pubblico e devono rivolgersi al privato che, se si tratta di patologie molto serie, spesso non basta. “Non possiamo tollerare – commenta la neuropsichiatra infantile – che dei ragazzini bisognosi di cure non le trovino”. Invece è proprio questa la situazione: “Sul fronte dei disturbi dell’età evolutiva le risposte restano insufficienti, un po’ in tutto il mondo a dire il vero. Per questo non mi meraviglia la denuncia della ragazzina che purtroppo ha deciso di farsi morire”.

QUALCHE NUMERO – Al Policlinico di Milano è stato messo in piedi un servizio pilota per garantire risposte intensive. “Nonostante da tre anni stia dando ottimi risultati – spiega Costantino – questo servizio viene rivolto a trenta ragazzini all’anno. Per capire di cosa si parla, basti pensare invece che solo nella città di Milano, prendendo in considerazione tutti i disturbi neuropsichici (dall’autismo alla dislessia al disturbo bipolare), avrebbe bisogno di essere seguito circa il 12% della popolazione tra 0 e 18 anni”. In Lombardia, “dove le cose vanno abbastanza bene”, a fronte di un milione e 600mila ragazzi sono affidati a servizio pubblico e riabilitazione accreditata circa 130mila tra bambini e adolescenti. Siamo all’8% del totale di quella fascia di età, ma in altre regioni si arriva solo al 4%. “Ce ne dovrebbero essere almeno 200-220mila” sottolinea la neuropsichiatra. Che aggiunge: “La cosa più grave è che passare almeno una volta all’anno dai nostri servizi non significa essere curati, ma nemmeno arrivare a una diagnosi, per la quale servono 10-15 contatti”. In un anno sarebbero necessarie circa 50 prestazioni in casi non molto gravi e, per quelli più complessi, tra le 200 e le 300. Purtroppo non avviene: “Nella ricca Lombardia la media è di dieci in un anno, immaginiamoci in Regioni che non possono contare sulle stesse risorse”.

IL PERCORSO DA INTRAPRENDERE – Quale dovrebbe essere, invece, il percorso da intraprendere per ragazzi che hanno subito abusi o che, comunque, soffrono di depressioni o di stress post-traumatico? “In Italia ci sono una serie di strutture – spiega Costantino – che si occupano, ad esempio, della violenza sulle donne e, in particolare, di quella sulle adolescenti, come i consultori. In alcune realtà, poi, sono stati sviluppati servizi specifici per chi è stato vittima di abusi o maltrattamenti, con interventi mirati per l’elaborazione del trauma”. Siamo nell’ambito della psicoterapia per aiutare chi ha vissuto un trauma. Da stupro, violenza, aggressione, persino tortura. Ma se gli strumenti sono sempre più efficaci e mirati, anche se non sempre disponibili, possono esserci situazioni in cui neppure questi sono sufficienti. “Pensiamo ai ragazzini e alle ragazzine – spiega la neuropsichiatra – che arrivano dalla Libia, con delle ferite psicologiche e dei livelli di trauma dai quali è davvero difficile guarire”.

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