Nel bestiario della politica di questa stagione – con in testa Capitan tricheco Matteo Salvini e poi Nosferatu Silvio Berlusconi, l’ilare cinciallegra Luigino di Maio e il pinguino ridens Nicola Zingaretti, protesi pannelliane alla Emma Bonino o la “piccola italiana” Giorgia Meloni – tra piazzate e proclami roboanti non ci si fa mancare proprio nulla; a parte un po’ di buon senso. Quanto ho provato a rammentare nei miei ultimi post, suscitando le indignate reprimende di molti commentatori.

Ritento per l’ultima volta: senza essere un genio strategico della politica, chi ha la pretesa di dedicarsi a questa nobile arte (ormai misconosciuta) dovrebbe almeno essere in grado di capire quali sia il suo vero interesse: le effettive convenienze. E le possibili convergenze/sinergie deducibili da tale discernimento. Provo a enunciarne due che parrebbero evidenti:

1. È interesse rettamente inteso, sia dei Pd che dei Cinquestelle, non andare a nuove elezioni in questo momento, stanti gli attuali rapporti di forza che li vedono in grave ritardo rispetto all’attivismo terroristico della Lega;

2. È interesse nazionale (almeno per quanto riguarda il mantenimento di livelli minimi di decenza civile) mettere un freno alla crescente egemonia del Trucido e dell’Intollerante, resi possibili dal clima creato dall’avventurismo irresponsabile del vicepremier Salvini.

In altre parole, porre fine al governo giallo-verde (con crescenti striature nere) nato come unica possibilità di trovare una maggioranza parlamentare dopo gli esiti elettorali del marzo 2018. L’ultimo capolavoro che ci ha regalato “lo statista”, ormai con le valigie in mano, Matteo Renzi: la pensata di mandare a ramengo l’intero quadro politico confinando su un Aventino di popcorn il secondo partito emerso dalle urne – il suo – e restando in attesa dell’auspicata catastrofe che avrebbe dovuto assicurargli l’ennesima chance di rientrare nei giochi. La sindrome del “rieccolo” di fanfaniana memoria: “Maledetti toscani!”, diceva Indro Montanelli da Fucecchio, riprendendo l’amico e maestro Curzio Malaparte. Difatti l’ennesima pensata del blairino di Rignano si è tradotta nel solito autogol, ma è riuscita a chiudere nel frigo l’intero partito, con buona parte dei parlamentari piddini di fede renziana a fare da guardiani in modo che nessuno lo scongeli.

Ci si chiede: ma come è possibile mettere insieme due partiti che se le sono dette/date di santa ragione? Certo che sì, visto che in politica non esistono matrimoni d’amore ma solo di convenienza. E – come si diceva – non sarebbe conveniente né per Zingaretti, né per Di Maio andare a una conta dalla quale uscirebbero falcidiati. Per cui il loro interesse “rettamente inteso” sarebbe quello di dare vita a combinazioni in grado di far spurgare il più rapidamente possibile l’operazione Salvini di tutti i suoi umori velenosi e mefitici, mettendo a frutto i “numeri” attualmente presenti e disponibili nelle due Camere.

Operazione che non si farà per quella che al sottoscritto appare come una palese inadeguatezza politica dei presupposti contraenti, giustificata con la tutela delle rispettive posizioni (che – come è chiaro – non reggeranno alle prossime verifiche). Tanto da far figurare un bullo padano, maestro di opportunismi e giravolte fin dalla più tenera età, come un leader di statura internazionale. Il pallone gonfiato che le punture di spillo del Di Maio non ridurranno se non in parte a più modeste dimensioni, come il 26 maggio – ahimè – si premurerà di confermare. A sentenza di condanna per quanti – maldestramente, e non solo Di Maio – in questi mesi hanno dato spazio eccessivo a chi tagliava loro l’erba sotto i piedi, solo per indossare il completino ministerial/bancario. E giocare con problemi fuori della propria portata.

Ma qui ora si tratta solo di fermare l’onda nera. L’emergenza: il resto non conta.

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