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Il Def spiegato da Oronzo Canà: correre avanti e indietro fingendo di essere in 15

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Mentre l’attenzione dei media e le energie dei ministri vengono assorbite dalla intensa gara di lancio del fango su chi tra Siri e la Raggi abbia commesso magagne maggiori, il Def, cioè il piano economico dei prossimi tre anni è stato relegato nei sottoscala dei palazzi romani. Ai piani alti, invece, gli stracci ormai contendono ai volatili paduli il dominio dell’aere.

Ma seppure Siri e la Raggi sparissero per sempre dal panorama politico resterebbe una situazione economica al collasso. Un epilogo drammatico è alle porte se persino i compari vice-Presidenti (che, ebbri di vanagloria, bivaccano da nove mesi negli studi televisivi) hanno evitato come un lazzaretto la conferenza stampa sul Def. E con notevole sprezzo del ridicolo hanno affidato alla retorica catodica di Toninelli la Maginot di cartapesta eretta a difesa della politica economica.

Per illustrare la situazione, è preferibile lasciar perdere i modelli econometrici e affidarsi ai procedimenti euristici perfezionati dalle casalinghe di Voghera. Anzi, per una messa a fuoco ancora più nitida occorre spostarsi nell’ottica del Tifoso della Longobarda (passando per il Bidello di Tor Vergata). In soldoni (o in bungalire), gli intricati equilibrismi che sottendono al Def evocano il mitico Oronzo Canà, il cui magistrale interprete, da uno scranno dell’Unesco, incarna la punta di diamante dell’intellighenzia gialloverde.

Come l’Allenatore nel Pallone – che con il modulo 5-5-5 agognava trascendere i vincoli sul numero di giocatori imposti ad una squadra di calcio – così il governo sovranista aspira a sgominare i vincoli di bilancio col miraggio della flat tax. Anzi il governo Conte scavalca d’imperio la Bi-zona: troppo banale la Bi-flat-tax progressiva; si ventila la Tri-flat-tax esponenziale e in prospettiva la quadri-flat-tax parabolica (straordinariamente simile alle aliquote Irpef attualmente in vigore).

L’essenza del 5-5-5 consisteva nel correre forsennatamente avanti e indietro senza una logica, così da creare nell’avversario l’impressione che in campo ci fossero 15 giocatori. Parimenti l’essenza della virtuale politica fiscale gialloverde consiste nel far girare vorticosamente sempre gli stessi (peraltro immaginari) miliardi per foraggiare imprese, famiglie, infrastrutture, giovani, vecchi, ceto medio, rimborsi ai truffati, rimpatri di clandestini, diminuzioni delle accise, fino ai giubbotti della Polizia con cui omaggiare gentili ospiti notturni.

Sfortunatamente per il popolo, siamo in un momento troppo critico per potersi crogiolarsi negli onirici schemi para-calcistici applicati all’economia. Il ciclo economico mondiale è in affanno, come certificato dal Fondo Monetario Internazionale, con la Germania (da cui, attraverso le esportazioni, arriva il principale stimolo alla crescita italiana) che arranca e l’America che, nonostante un deficit pubblico da tempi di guerra, rimane inchiodata ad una crescita anemica.

Nel Belpaese, il mitico popolo, inebetito dalle promesse sul reddito di cittadinanza, scopre che si tratta di un obolo e riversa sul sito dell’Inps la gigantesca delusione. Smaltita la sbornia sull’abolizione della povertà, Oronzo Tria, ha già pronta una serie di aumenti a tappeto delle imposte, denominate Fiasc-tax, per poter tappare i buchi lasciati giustappunto dai fiaschi governativi. Verranno annunciate, non dal balcone di Palazzo Chigi, bensì al Sal-Vinitaly, dopo le Europee. Per il popolo insomma non saranno fiaschi che consentiranno di affogare i dispiaceri nell’alcol.

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