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La scuola pubblica non è un’azienda. E dobbiamo rendercene conto

La scuola pubblica non è un’azienda. E dobbiamo rendercene conto
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di Antonio Deiara

La scuola pubblica della Repubblica Italiana lavora ogni giorno su tre fronti, nonostante tutto quello che i governanti di turno si sono inventati per ostacolarla, bloccarla e marginalizzarla:

1. educare i cittadini del domani alla democrazia

2. istruire tutte le alunne e gli alunni nei diversi ambiti disciplinari

3. promuovere i talenti di ciascuno e valorizzare le eccellenze, senza “sacrificare” chi è in difficoltà

Per svolgere quotidianamente la sua mission sono indispensabili locali idonei, personale numericamente sufficiente e socialmente rispettato, anche in termini economici, certezza dei doveri e dei diritti. Educare alla democrazia significa che dove ha inizio il “quadratino” dell’altro, finisce il mio “quadratino” personale di libertà. Tutti gli alunni hanno diritto all’istruzione, ma ciascuno studente ha il dovere di impegnarsi nel processo formativo. Chi non lo fa deve essere bocciato. I “bravi e meritevoli” non possono essere “sacrificati” per recuperare i meno bravi, ma questi ultimi hanno il diritto di essere seguiti con attività di recupero obbligatorie pomeridiane che devono frequentare perché questo è il loro dovere.

Il postulato berlusconiano che sosteneva la differenza ontologica tra il figlio di un professionista e quello di un operaio ha generato una concezione aziendalistica della scuola, destinata a produrre frutti avvelenati. Ironia della storia, i geni non germogliano sui rami degli alberi genealogici e l’intelligenza non risulta direttamente proporzionale alla consistenza del conto corrente dei genitori di un alunno. Da quel postulato errato è discesa la sistematica distruzione della scuola pubblica della Repubblica Italiana: abolizione degli esami di riparazione a settembre, classi-pollaio con 28-30 alunni e oltre, riduzione di oltre 130mila cattedre, nascita di Istituti scolastici monstre con più di mille studenti, taglio dei bidelli etc.

Il risparmio effimero sulla carne viva di studenti, professori e personale Ata portava e porta in seno dei costi sociali ed economici altissimi. Lo spreco di brillanti intelligenze, non valorizzate nel marasma generale che deriva dal principio pseudo didattico-educativo “Zero punizioni, solo promozioni”, unito alla logica scellerata di troppe famiglie del “Mio figlio ha sempre ragione!”, distrugge la scuola.

Basta con i mediocri o incapaci “figli di…” che non ricevono in dono terre e castelli, come nel Medioevo, ma immeritati posti di elevata responsabilità nei gangli vitali dello Stato. La generazione dei diritti senza doveri è passata dalla violenza verbale a quella fisica, fino all’omicidio, nel delirio confuso che mischia virtuale e reale. Urge un “anno zero”, dalle elementari all’università: forse avremo il 75% di bocciati, ma sicuramente sarà l’inizio di un nuovo Rinascimento.

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