Il mondo FQ

Il sistema vuole distruggere la società. Ma il popolo (e la tecnologia) gli fanno comodo

Il sistema vuole distruggere la società. Ma il popolo (e la tecnologia) gli fanno comodo
Icona dei commenti Commenti

di Lelio Demichelis

La crisi della democrazia è legata all’egemonia della tecnica nel capitalismo moderno. Solo ri-democratizzando l’impresa e la tecnica sarà possibile uscire dalla crisi politica dei nostri giorni

La democrazia politica è in crisi. Scriverlo è scrivere niente di nuovo. Ma la relazione di causa-effetto tra capitalismo e crisi della politica e della democrazia nasce non solo dal 2008 o dagli anni 70, ma dall’egemonia della tecnica come apparato/sistema tecnico integrato al capitalismo; dall’immaginario collettivo che questo tecno-capitalismo sa produrre; ma soprattutto dal fatto che la forma/norma tecnica è in sé e per sé a-democratica/antidemocratica, ma tende a divenire forma/norma sociale e oggi anche politica. Ovvero, il tecno-capitalismo confligge in premessa con la democrazia. E produce antidemocrazia.

Il populismo e la disruption tecno-capitalista della democrazia

Perché i populismi, fomentando la rabbia popolare contro caste ed élite (ma non contro le vere nuove caste/élite globali, quelle della Silicon Valley) in realtà sono il proseguimento dell’egemonia tecno-capitalista con altri mezzi, perché tutti i populismi al potere oggi sono neoliberali e insieme tecnici nel sostenere questo modello di crescita. Perché se non deve esistere la società – obiettivo del neoliberalismo, ormai pienamente raggiunto – può essere invece utile al sistema creare il popolo: molto più attivabile e plasmabile, molto più bisognoso di un pastore o di un Capitano, molto meno riflessivo/responsabile, ma soprattutto funzionale a sostenere l’incessante disruption (il populismo incarnando esso stesso la disruption del demos) richiesta dal sistema.

Uno degli elementi del populismo, uno dei suoi usi politici infatti, è anche quello di ottenere la modernizzazione e di proseguire nella rivoluzione industriale mediante il ricorso alle figure della tradizione e dell’identità, cioè a meccanismi/dispositivi di compensazione emotiva/identitaria utili a ristabilire (in apparenza) un certo equilibrio psichico individuale e sociale. Perché il rancore e la rabbia e la paura e l’amico/nemico e il capro espiatorio servono a costruire l’identità e sono soprattutto funzionali (attivano e riproducono anch’essi la competizione sociale, in perfetto spirito del tempo) all’istituzionalizzazione dello stato di natura neoliberale, dopo avere prodotto la disruption dell’uguaglianza e della solidarietà, del contratto sociale e del compromesso tra capitale e lavoro novecentesco. In sintesi, i populismi odierni sono populismi neoliberali.

E l’invenzione (la produzione industriale) dell’identità da un lato serve a impedire di vedere la complessità e la molteplicità (semplifica il mondo, gli dà ordine dividendolo in categorie e schemi semplici e calcolabili: casta/popolo, noi/loro-altri, ma anche io-competitore/altri competitori-auto-imprenditori-startup nel mercato) in una perfetta logica di razionalità strumentale/calcolante tecno-capitalista. Che mette al lavoro e a profitto per sé anche l’identità – che è oggi un prodotto capitalistico e tecnico, prima che produzione politica – estraendo valore da quella che è comunque una modalità esistenziale di ogni uomo, cioè la coesistenza psichica in ciascuno di voglia di individualizzazione/personalizzazione anche se apparente (dei mezzi di produzione via rete, dei beni di consumo via marketing, della politica via social e blog – e narcisismo e pigmalionismo come forme di attivazione prometeica di ciascuno a vivere creativamente e imprenditorialmente nel mercato); e insieme il bisogno di omologazione/aggregazione (il popolo, ma anche le imprese-comunità, i social, le brand community e poi il dover essere connessi e il dover condividere, la creazione di comunità online sempre più autoreferenziali).

L’identità quindi – nelle sue diverse forme – è un espediente ideologico per contrastare tutto ciò che è fluido, precario e instabile, ma anche e appunto per garantire la continuazione con altri mezzi dell’instabilità e della precarietà neoliberale e tecnica: perché l’identità drammatizza e questo aiuta a sostenere la drammatizzazione – l’attivazione del suo pathos – di ciascuno nello stato di natura della società della prestazione.

Continua su economiaepolitica.it

Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione