Rocco Greco si è suicidato. “Aveva denunciato il pizzo e aveva fatto condannare i suoi estorsori. I quali a sua volta lo avevano denunciato. Poi il Tribunale lo aveva assolto”. Nonostante quella sentenza il Ministero degli Interni ha deciso di considerare la sua azienda collusa con la mafia. Un provvedimento che gli ha fatto perdere tutti gli appalti. Da qui la decisione di uccidersi.

Spiega il figlio Francesco: Il giudice aveva ribadito che Rocco Greco era stato vittima della mafia, non socio in affari dei boss”. Nonostante ciò nell’ottobre scorso il ministero dell’Interno ha negato alla ditta dell’imprenditore l’iscrizione nella whitelist necessaria per partecipare ai lavori di ricostruzione dopo il terremoto in centro Italia.

Testimoniare contro i mafiosi vuol dire decidere accettare di rischiare la propria vita e quella dei propri famigliari e decidere di non avere più un’esistenza normale.

Testimoniare contro i mafiosi vuol dire compiere un atto di estremo coraggio, un gesto eroico.

Che dire di uno Stato che non sa riconoscere e premiare i cittadini onesti?

Che dire di uno Stato che manda in rovina chi ha avuto il coraggio di denunciare le mafie?

Rocco Greco non è un caso isolato, la lista degli imprenditori che sono finiti sul lastrico dopo aver denunciato i criminali è lunga, cito solo qualche nome: Ignazio Cutrò , Vincenzo De Marco e Irene Casuccio, Salvatore Castelluccio, Ciro Scarciello, Pina Aquilini, Tiberio Bentivoglio, Francesco Paolo. Sono tutte storie agghiaccianti!

Tutti sono finiti in rovina dopo aver servito lo Stato e la giustizia.

Se avrà la bontà di leggere come questi imprenditori hanno avuto la vita devastata e le loro imprese distrutte forse anche lei avrà un moto di disgusto e forse deciderà di cambiare la musica.

Forse non si è reso conto di questo problema e per questo non ha detto, a quel che risulta dal web, una sola parola di rammarico per il suicidio di Rocco Greco, per la morte del quale alcuni suoi sottoposti ottusi hanno probabilmente grande responsabilità. E forse bisognerebbe rimuovere qualche funzionario. Oppure, se hanno agito seguendo i dettami della legge, cambiare la legge.

Le storie dei testimoni di giustizia sono troppo spesso terribili: cittadini coraggiosi, che hanno sfidato le mafie e che lo stato ha ripagato a pesci in faccia. Persone rovinate. E non meno agghiacciante è l’inefficienza con la quale troppo sovente vengono messe in pratica le misure di protezione dei testimoni di giustizia costretti a nascondersi. A volte sono storie marchiane, come quella di Valeria Grasso che si trova a dover pagare conti esorbitanti al servizio di protezione

Allora, caro ministro, secondo lei questi cittadini non dovrebbero avere dallo Stato un trattamento migliore?

Se vogliamo estirpare le mafie dobbiamo forse smettere di rendere la vita impossibile a chi si schiera dalla parte dello Stato testimoniando contro i mafiosi?

Se lo Stato mostrasse gratitudine verso chi testimonia contro il crimine organizzato forse ci sarebbero più cittadini disposti a farlo. È un punto centrale della lotta contro le mafie.

E già che ci sono vorrei citare una piccola storia di quotidiana follia, quella di Andrea Turolla, agente carcerario che dopo una vita di dedizione al suo ruolo è andato in pensione con una nota di demerito perché ha riconsegnato la sua pistola di ordinanza senza le quattro rondelle delle viti del calcio dell’arma, rondelle che è facile perdere e che comunque hanno il costo di 1 centesimo di euro ciascuna. Un agente con un passato di grande impegno macchiato per una colpa ridicola. Un altro servitore dello Stato mal ripagato. E c’è il sospetto che questa interpretazione punitiva del regolamento sia stata determinata dal fatto che Turolla avrebbe preso troppo a cuore il suo dovere arrivando a scontrarsi con i suoi superiori avendo portato avanti con successo una battaglia sulla disabilità in carcere…

Anche in questo caso o ci sono funzionari da rimuovere o c’è una legge idiota che va cambiata.

Cominciamo da qui: prima i cittadini che servono lo Stato.

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