di Valeria Gritti *

Il 7 febbraio, in seno alla Commissione attività produttive della Camera, era stata raggiunta l’intesa tra 5stelle e Lega in merito al disegno di legge per la regolamentazione delle aperture festive di negozi e centri commerciali (qui l’iter parlamentare), anche se pare si sia riaperto il dibattito. L’accordo prevede l’elaborazione di un nuovo testo condiviso che rappresenta una sintesi fra le proposte di legge precedentemente avanzate dai due partiti.

Il nuovo disegno di legge prevede la reintroduzione dell’obbligo di chiusura domenicale e festiva degli esercizi commerciali al dettaglio, che era stato abolito in via definitiva con la liberalizzazione del settore realizzata dall’allora governo Monti nel dicembre del 2011.

Il testo del disegno di legge approvato in X Commissione prevede l’obbligo di chiusura di negozi e centri commerciali la domenica e nelle giornate che coincidono con le 12 festività nazionali: 1° gennaio, 6 gennaio, Pasqua, Pasquetta, 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno, 15 agosto, 1° novembre, 8 dicembre, 25 dicembre e 26 dicembre. Tuttavia, è prevista una deroga all’obbligo di chiusura per un numero di domeniche non inferiori a otto e fino a un massimo di 26 (su 52 dell’anno) e un numero massimo di festività pari a quattro (su 12).

Alle Regioni, d’intesa con i Comuni interessati e sentito il parere delle organizzazioni di categoria e delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello regionale, viene demandato il compito di disporre ogni anno, entro il 31 ottobre, di un piano di programmazione triennale delle aperture sul proprio territorio. Una deroga ad hoc all’obbligo di chiusura è stata, inoltre, prevista per gli esercizi commerciali al dettaglio ubicati nei centri storici e i cosiddetti negozi di vicinato, quelli aventi superficie di vendita ridotta. Per queste tipologie di attività commerciali non è previsto l’obbligo di chiusura domenicale, ma solo quello di chiusura nelle festività nazionali, con possibilità di derogare fino a quattro giornate all’anno.

Interessante notare il punto di vista dal quale muove questa nuova proposta di legge. Come si evince dall’art. 1, il fine del disegno di legge è quello di garantire il principio del riposo settimanale del lavoratore di cui all’Art. 36 della Costituzione. Al principio della libera concorrenza e ai diritti dei consumatori, da un lato, e delle aziende commerciali, dall’altro, viene anteposto il diritto dei lavoratori a godere del riposo settimanale inteso nella sua accezione più ampia, non solo come diritto che attiene alla salute del lavoratore, ma come diritto a riappropriarsi della propria sfera privata, potendo godere del giorno libero insieme ai propri affetti. La domenica, infatti, è il giorno di riposo per la maggior parte dei lavoratori ed è importante che sia così, perché quel giorno non serve solo a riposarsi, ma anche a godere degli affetti e della condivisione di esperienze ed emozioni con i propri cari.

Pur con alcuni, significativi limiti (da un lato, non si capisce la ratio per cui vengono fatti salvi dall’obbligo di chiusura i negozi di vicinato e, dall’altro, nessuna deroga è prevista da questo nuovo disegno di legge per i negozi delle aree turistiche, come invece era previsto dalla normativa in vigore già prima del decreto Monti), il disegno di legge approvato in Commissione attività produttive è indubbiamente un primo passo in questa direzione.

Puntuale è arrivata la levata di scudi da parte delle organizzazioni di categoria che rappresentano le catene della grande distribuzione: se venisse approvato questo disegno di legge, paventano queste ultime, il settore andrebbe incontro a tagli del personale che potrebbero interessare fino a 40mila addetti. Per giungere a questa stima, le organizzazioni di categoria ipotizzano una riduzione del fatturato attorno al 9%, conseguente alla chiusura di una domenica su due, considerando il fatto che il fatturato realizzato nelle giornate domenicali rappresenta circa il 18% di quello totale. Questa riduzione del volume di affari si tradurrebbe in una diminuzione di pari proporzioni degli addetti del settore, che attualmente occupa 450mila lavoratori.

I dati di cui possiamo disporre dopo sette anni di sperimentazione del regime di liberalizzazione, tuttavia, dovrebbero notevolmente ridimensionare questa preoccupazione. Il volume degli acquisti non è cresciuto in questi sette anni. È stato solo spalmato anche sul settimo giorno di apertura. I consumi domenicali rappresentano sì una fetta consistente dell’intero fatturato della grande distribuzione, ma non determinano una quota aggiuntiva di entrate. Al contrario, sono aumentati i costi di gestione dei punti vendita, necessari per garantire maggiori aperture. Il disegno di legge dovrebbe riuscire a limitare quei costi, senza arrecare un danno economico alle imprese, perché l’obbligo di chiusura investirebbe tutte le attività di vendita al dettaglio allo stesso modo, senza creare distorsioni al principio di libera concorrenza.

* Ho iniziato a lavorare presso l’Ufficio Vertenze Intercategoriale della Camera del Lavoro di Milano nel 2006, dopo aver conseguito il Master Europeo in Scienze del Lavoro presso l’Università Statale di Milano. Dal dicembre del 2011 lavoro presso l’Ufficio Vertenze della Camera del Lavoro di Torino, la mia città, dove da qualche anno mi occupo anche di mobbing. Da gennaio di quest’anno lavoro presso il Dipartimento Mercato del Lavoro della Camera del Lavoro di Torino.

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