Ci sono “errori madornali” nella sentenza del Tribunale di Vicenza, che a gennaio aveva dichiarato l’insolvenza della Banca Popolare di Vicenza, e lacune nella perizia tecnica affidata dai giudici. È quanto sostiene la difesa dell’ex presidente dell’istituto di credito, Gianni Zonin, nel ricorso presentato alla Corte d’appello di Venezia contro la sentenza che aveva dichiarato la Popolare di Vicenza, al momento della liquidazione, insolvente per 3,3 miliardi di euro.

Una decisione, quella presa dal del giudice Giuseppe Limitone lo scorso gennaio, destinata a segnare una svolta sul fronte giudiziario per il dissesto che ha causato la perdita dei risparmi per decine di migliaia di azionisti di PopVicenza, il cui ex presidente Zonin è attualmente sotto processo assieme ad alcuni amministratori. La questione dell’insolvenza della banca, che si trova in regime di liquidazione coatta amministrativa, apre infatti al rischio che agli imputati possa essere contestata la bancarotta fraudolenta.

Per gli avvocati di Zonin – riportano i quotidiani locali – i giudici si sarebbero accontentati di “congetture” per dichiarare accertata l’insolvenza della popolare. La dichiarazione d’insolvenza deve invece, a loro avviso, essere assunta su “fatti certi e inoppugnabili” e non su “atteggiamenti emozionali o valutazioni soggettive”. Secondo le dichiarazioni del collegio degli esperti e il parere di Banca d’Italia, riportano i legali di Zonin, il patrimonio netto contabile di Bpvi al 25 giugno 2017 sarebbe stato pari a 2 miliardi circa.

Il giudice Limitone ha basato la propria sentenza sulla relazione dei consulenti, il professor Bruno Inzitari e il professor Luciano Matteo Quattrocchio. Secondo gli esperti, quando nel giugno di due anni fa l’allora ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, aveva disposto la liquidazione coatta amministrativa di PopVicenza, i conti presentavano uno “sbilanciamento notevolissimo”, tale da poter definire “la condizione di deficit di liquidità (endogena), attuale e prospettica, di natura irreversibile”. In quel momento l’istituto di credito vicentino non era più in possesso delle “necessarie condizioni di liquidità e di credito per l’esercizio dell’attività bancaria”, considerando che la Banca centrale europea due giorni prima aveva definito Popolare Vicenza “prossima al dissesto”.

In quel momento – la tesi è sostenuta anche dai consulenti della Procura, Giovanni Petrella e Andrea Resti – alla banca restava un patrimonio netto di 2 miliardi di euro, insufficiente per garantire la liquidità per un insolvenza quantificata in 3,7 miliardi e comprensiva del contributo statale a Banca Intesa per 2,5 miliardi necessario per il salvataggio. Ma quello fu solo il momento terminale. Già nel dicembre 2016 le condizioni di liquidità e di credito erano, secondo il giudice, “fortemente compromesse”. Era quella l’epoca in cui PopVicenza chiese la prima garanzia statale a emettere obbligazioni. Ma l’irreversibilità dell’insolvenza si sarebbe manifestata il 23 giugno 2017, data a cui va ancorato il calcolo del valore degli asset rimasti.

Sulla base della dichiarazione di insolvenza, i sostituti procuratori vicentini Luigi Salvadori Gianni Pipeschi, titolari dell’inchiesta per aggiotaggio ostacolo alla Vigilanza a carico di sei imputati (oltre alla banca in proprio), possono far virare le indagini verso la bancarotta. Il reato è più grave del semplice aggiotaggio e quindi i termini della prescrizione si allungano per il processo che ha già visto la celebrazione di alcune udienze.

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