Ha da poco lasciato il suo incarico al Quirinale come comandante dei Corazzieri e ora risulta indagato nell’inchiesta sull’insabbiamento, ipotizzato dalla procura di Roma, in seguito alla morte di Stefano Cucchi. Prima di ottenere un posto sul Colle più alto di Roma, infatti, Alessandro Casarsa, era il comandante del Gruppo Roma. Per questo motivo è finito indagato perr il caso Cucchi, come riporta il Corriere della Sera. È da ottobre – come ha scritto il Fatto Quotidiano  – che chi indaga cerca di risalire la scala gerarchica dei carabinieri che, dopo la morte del geometra romano arrestato per droga e morto all’ospedale Pertini, misero in atto un vero e proprio depistaggio.

Ora il pm Giovanni Musarò ha iscritto il nome di Casarsa nel registro degli indagati, con l’accusa di falso in atto pubblico, insieme agli altri ufficiali già indagati per aver cambiato le due relazioni di servizio sulle condizione del giovane arrestato la sera del 15 ottobre 2009. Tutti elementi che sono emersi nel processo ai cinque carabinieri: la procura continua a depositare atti che stanno squarciando il muro di protezione innalzato sui militari accusati a vario titolo di omicidio preterintenzionale, falso e calunnia. Francesco Tedesco (che ha accusato i colleghi del pestaggio), Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, sono imputati di omicidio preterintenzionale, Roberto Mandolini e Vincenzo Nicolardi, rispondono di calunnia e falso.

Casarsa è stato interrogato una decina di giorni fa dal procuratore Giuseppe Pignatone e da Musarò: l’alto ufficiale ha negato qualsiasi azione per nascondere la verità sulla morte di Cucchi e che anzi diede disposizioni contrarie. Il nuovo capitolo nella storia della morte di Cucchi è stato scritto, lo scorso aprile,  proprio durante il processo quando dopo il decesso vennero chieste le relazioni su quanto accaduto e i due documenti, datati 26 ottobre 2009 (Cucchi era morto in ospedale il 22 ndr), vennero fatti modificare il giorno stesso, forse perché alcuni dettagli potevano creare problemi.

Nella prima relazione si legge che Cucchi, la mattina dopo l’arresto “riferiva di avere dei dolori al costato e tremore dovuto al freddo e di non poter camminare” tanto da dover “essere aiutato” dai carabinieri a salire le scale per andare in tribunale dove era fissata l’udienza di convalida. Dalla seconda versione, spariscono i dolori al costato e il fatto che il giovane non riuscisse a camminare il giorno dopo l’arresto: Cucchi, vi si legge, “era dolorante alle ossa sia per la temperatura freddo/umida che per la rigidità della tavola del letto”. Il documento viene redatto dal carabiniere Francesco Di Sano che, chiamato a testimoniare al processo, in merito a tali anomalie dichiara che gli fu chiesto di modificare la relazione dai superiori. Anomalie anche in altre due relazioni, quasi identiche, firmate sempre il 26 ottobre, dal piantone di Tor Sapienza Gianluca Colicchio: anche in questo caso, solo nella seconda relazione, che Colicchio dice di non aver mai redatto, i dolori di Cucchi vengono attribuiti alla “branda scomoda”.

Il luogotenente Massimiliano Colombo Labriola, comandante della stazione dei carabinieri di Roma-Tor Sapienza che è indagato, ha raccontato che le relazioni furono modificate dopo l’intervento del maggiore Luciano Soligo, che guidava la Compagnia. Secondo Colombo il maggiore parlava al telefono con un superiore chiamandolo “signor colonnello”, e fece trasmettere per posta elettronica le annotazioni all’allora capo dell’ufficio comando del Gruppo Roma, il tenente colonnello Francesco Cavallo, il quale le rimandò indietro modificate, con l’indicazione “meglio così”. Questa mail per Colombo è un “salvavita”, come dice intercettato. Ossia la prova che ha solo eseguito un ordine. Ed è qui che si innesta un altro filone investigativo. Perché questa mail compare soltanto ora? Il documento doveva essere nelle mani della Procura già nel 2015, quando delega il Nucleo investigativo di acquisire gli atti nelle stazioni, riaprendo le indagini sulla morte di Cucchi. Misteriosamente però quella mail resta nei pc. Non viene acquisita. Eppure – racconta Colombo – nel “novembre 2015 si presentarono i carabinieri del Nucleo investigativo. (…) Mi resi conto di aver fornito le due annotazioni in entrambe le versioni (originale e modificata) (…) In questa occasione mostrai la mail di Cavallo (…) Il Capitano del Nucleo investigativo quando vide la mail uscì per parlare al telefono, poi rientrò, presero tutto ma non la mail”. Interrogato Cavallo avrebbe spiegato di non ricordare le modifiche, che pur sono state accertate dalla procura, ma che in ogni caso tutto fu concordato con il comando del Gruppo Roma, che aveva rapporti diretti con i comandanti di Compagnia. E visto il clamore se ne era occupato il suo diretto superiore, il colonnello Casarsa. Che ai pm avrebbe dichiarato di aver chiesto, al contrario, di essere il più precisi possibile.

Un altro carabiniere, Francesco Tedesco (ora accusato di omicidio), dichiara di aver presentato nel 2009 una relazione di servizio che rivelava il pestaggio di Cucchi. Sparita. Resta solo una traccia in un registro. Ma neanche quella fu scoperta nel 2015. Come mai? Al vaglio degli investigatori ci sono anche alcune intercettazioni. In molte si fa riferimento alla scala gerarchica. “Se hanno indagato me – dice Colombo il 22 settembre – allora dovranno indagare Cavallo, Casarsa, Tomasone”. Si tratta dell’allora comandante provinciale che il 30 ottobre 2009 convocò una riunione. Colombo la riassume così: “Hai visto gli alcolisti anonimi? (…) Così abbiam fatto”.

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