Le tavole della legge di Cosa nostra esistono. E sarebbero custodite a Corleone. A raccontarlo è l’ultimo pentito della piovra: si chiama Francesco Colletti, ed era il capomandamento di Villabate. Solo che un certo punto si fece intercettare mentre raccontava al suo braccio destro di aver partecipato alla prima riunione della nuova Cupola di Cosa nostra, convocata alcuni mesi dopo la morte di Totò Riina. Non accadeva dal 15 gennaio del 1993, il giorno dell’arresto del capo dei capi. Quell’intercettazione fece scattare il blitz della procura di Palermo del dicembre scorso: in carcere finirono in 47 tra boss, picciotti e gregari.

Il racconto del pentito e l’enfat prodige – A quel punto Colletti decise di saltare il fosso e collaborare con i pm. Raccontando i retroscena di quel pranzo del 29 maggio 2018, quando la commissione provinciale venne riunita. A convocarla furono due boss: l’anziano Settimo Mineo, l’ottantenne arrestato a dicembre e considerato il padrino di maggior prestigio tra quelli in libertà, e il giovane Leandro Greco, che si faceva chiamare Michele come il nonno, lo storico Papa di Cosa nostra. Grazie alla collaborazione di Colletti, infatti, il procuratore aggiunto Salvo De Luca e i sostituti Roberto Tartaglia e Amelia Luise capiscono che la mafia palermitana ha un nuovo astro nascente: Greco junior, infatti, è l’enfant prodige di Cosa nostra. È il nome più importante tra i sette fermati dell’ultima operazione antimafia.

La riunione della cupola: “C’era un tavolo coi dolci” – Nel racconto di Colletti, infatti, è Greco a chiedere di ricostituire la Cupola dopo la morte di Riina. “Mi sono incontrato con Michele Greco di Ciaculli. Mi dice: dobbiamo fare un appuntamento, poi mi faceva sapere e in quest’appuntamento dovevano partecipare i capimandamento di Palermo”, ricorda il pentito il 21 dicembre scorso. Che poi viene effettivamente convocato in una casa alla periferie di Palermo: “Sono salito e sono entrato. C’era un tavolo imbandito con dei dolci, ho trovato Mineo seduto, Greco Michele, che era già a tavola, Di Giovanni.  In quel tavolo mi sono stati presentati come uomini d’onore, erano tutti uomini d’onore. Dopo una mezzoretta è venuto Lo Piccolo Calogero”. È il rampollo di Salvatore Lo Piccolo, il boss di San Lorenzo condannato all’ergastolo.

“La mafia doveva riunirsi ogni due mesi – A cosa serviva quella riunione? “Innanzitutto conoscere le persone che non conoscevamo. Conoscere gli altri capi mandamento perché diverse famiglie ancora, come quella di Villabate, si dovevano formare”, spiega ai pm Colletti, che poi racconta come i boss avessero intenzione di calendarizzare una riunione fissa della Cupola. “Dovevamo fare successivamente una riunione ogni due mesi, un mese sì e un mese no dovevamo fare una riunione”, rivela. Il giorno della prima convocazione della nuova Cupola, invece, Cosa nostra definì le sue leggi. “In quel contesto si è parlato di regole”, dice. Che tipo di regole? “Il discorso importante è stato che dovevamo avere i contatti solo noi capi mandamento“, spiega il collaboratore. E dunque i mafiosi potevano relazionarsi tra loro solo tra parigrado. “Se qualcuno di qualsiasi mandamento, dico anche uomo d’onore stesso, mi avesse fatto qualche discorso – spiega Colletti – io dovevo rispondere: parlane con il tuo capo e fai venire il tuo capo a parlare con me, non parlare direttamente tu con me. Queste erano, diciamo per sinteticamente. Il discorso importante è stato che dovevamo avere i contatti solo noi capi mandamento”. Per le riunioni della Cupola, invece, ogni capomandamento poteva nominare un suo sostituto: “Nell’impedimento poteva mandare un delegato. Quelle lì da quel momento in poi già erano le regole”.

“Le regole della mafia sono custodite a Corleone” – È a quel punto che Greco rappresenta la necessità di mettere per iscritto quelle norme interne alla piovra. Il nipote del Papa, però, è giovane: è nato nel 1990 e non ha mai visto in libertà il nonno, arrestato nel 1986. E infatti a quella sua richiesta, gli altri capimandamento segnalano che le regole scritte di Cosa nostra esistono già.  “Bisogna rispettare le regole antiche e queste regole qualcuno le custodisce e credo che sia Corleone. Io credo che queste regole sono custodite a Corleone“, dice il pentito. Un’affermazione che fa chiedere al pm: “In che senso custodite? Che c’è un qualcosa di scritto?“. “Sì, sì, sì”, ripete tre volte Colletti. “Io – aggiunge – sono nuovo di certe situazioni, però io le dico che in quell’appuntamento il Bisconti gli ha detto al Greco: non parlare di regole perché le regole, quelle scritte, si devono mantenere e le regole sono datate, non lo so di quanto centinai di anni. Queste regole non, non so chi le abbia, però ci sono pure scritte queste regole e comunque che il Bisconti conosce”. Bisconti è l’altro boss che si è pentito nei giorni scorsi: ai pm ha effettivamente confermato l’esistenza delle “tavole della legge” dei boss custodite a Corleone.

“Regole uguali al pizzino di Lo Piccolo” – Per i pm, l’esistenza di quelle regole è un passaggio fondamentale perché conferma “una piena ed inquietante identità tra l’organismo direttivo in esame e la struttura storica della commissione provinciale di Cosa nostra, e ciò risulta definitivamente comprovato dalla assoluta sovrapponibilità tra le regole organizzative e funzionali descritte dagli stessi e i precetti che, sempre a proposito della commissione provinciale, si ritrovarono consacrati per iscritto in un pizzino rinvenuto nella disponibilità di Salvatore e Sandro Lo Piccolo al momento del loro arresto”. Il riferimento è al vademecum del perfetto mafioso ritrovato nel covo dei boss di San Lorenzo.

Il vademecum del perfetto mafioso – Sono due pagine che elencano da chi erano composti i mandamenti all’epoca – i Lo Piccolo vengono arrestati nel 2007 – e tutta una serie di precetti dei mafiosi. Si comincia dai componenti della famiglia, che sono il capo famiglia, il sottocapo, il consigliere, il capodecina e i soldati. “Il capo famiglia – spiega il pizzino dei Lo Piccolo –  si elegge votando tutti i membri della famiglia. Così come per il consigliere. Il sottocapo viene chiamato dal capo famiglia. Così come pure il capo decina”. Poi si disciplinano le funzioni di ogni componente: “Il capo famiglia è colui che ci ha l’ultima parola. Il sottocapo fa le veci del capo famiglia in assenza del capo famiglia”. La commissione invece è “composta da tutti i capi mandamenti. Dove poi si elegge il capo commissione più  il sotto capo di commissione più il segretario. Che è colui, che si occupa degli appuntamenti della commissione”. Sembra un organo parlamentare, è il parlamentino dei clan. Per i Lo Piccolo la commissione è “costituita per esserci un equilibrio nelle famiglie e in Cosa nostra. E per deliberare i fatti più delicati ha il ruolo di tenere a tutti uniti in famiglia e di dare consigli per il bene della famiglia. I soldati sono i coloro che si occupano sotto direttive del capo decina per i far bisogni della famiglia”.  I boss che un decennio fa avevano in mano la piovra avevano anche stilato i “divieti e i doveri” dei mafiosi, ma nessun diritto. Sono tredici punti: “Non ci si può presentare da soli ad un altro amico nostro se non è un terzo a farlo. Non si guardano mogli di amici nostri. Non si fanno comparati con gli sbirri. Non si frequentano nè taverne e nè circoli. Si ha il dovere in qualsiasi momento di essere disponibile a Cosa nostra. Anche se ce la moglie che sta per partorire. Si rispettano in maniera categorica gli appuntamenti. Si  deve portare rispetto alle moglie. Quando si è chiamati a sapere qualcosa si dovrà dire la verità. Non ci si puo appropriare di soldi che sono di altri e di altre famiglie”. Quindi c’erano tre regole finali che vietavano l’ingresso in Cosa nostra: “Chi ha un parente stretto nelle varie forze dell’ordine. Chi ha tradimenti sentimentali in famiglia. Chi ha un comportamento pessimo e che non tiene ai valori morali”.

Twitter: @pipitone87

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