Il caso Carige è l’ennesima dimostrazione del fatto che nel nostro Paese siamo abituati a “piangerci il morto” e poi trovare i soldi per fare il funerale. Mai una proposta o una legge seria che possa tentare di guarire l’ammalato (sistema bancario) che, sebbene in alcuni casi impossibile, avrebbe bisogno di controlli continui, diagnosi precoci e cure molto forti.

Non parlo delle promesse elettorali o delle campagne di marketing politico per combattere la malafinanza, che stanno dimostrando che il cambiamento del nulla è il nulla. Mi riferisco all’individuazione del vero problema che affligge il nostro sistema bancario: il ricambio di un management ormai logoro, superato, vecchio, senza idee per produrre ricavi (il vero dramma dei conti economici delle banche). Sempre gli stessi nomi, sempre gli stessi danni.

Ma vi siete chiesti come mai questi manager, che erano stati giudicati anziani e superati dalla prima banca del Paese (i Profumo boys – ex Unicredit), e rimossi dallo straniero Mustier dai loro incarichi operativi, vanno poi a dirigere banche che sono prossime al fallimento e che continuano a essere inefficienti? Siamo proprio certi che questi manager siano stati bocciati? O si sta costruendo, con l’appoggio silenzioso della politica, una rete di potere per arrestare e ritardare (in attesa della ormai scontata soluzione statalista) il processo di dissoluzione di un sistema bancario debole, che partendo dagli anelli più piccoli può produrre un effetto domino anche sulle tessere più grandi?

Occorrono persone con visioni fresche, nuove, che non hanno avuto un passato in quel mondo determinandone gli sconquassi (o quantomeno accettandoli passivamente) che ormai tutti conoscono. Occorrono persone competenti che conoscano bene quel sistema, molto bravo a fare networking con il potere politico costringendolo spesso a una sudditanza psicologica talvolta dettata da collusione e spesso influenzata dalla forza del denaro.

1. La prima barriera seria è quella dei requisiti di professionalità: persone che se ne intendono. L’Autorità bancaria europea (Eba), per essere chiari, sta andando verso il criterio che imporrà a tutti gli amministratori di banca di essere esperti di finanza: professori universitari, consulenti aziendali, avvocati. Peccato però che in certi casi questi ultimi siano anche quelli che hanno maggiori abilità e chance per potere ingarbugliare meglio la finanza.

Sarebbe auspicabile, in tal senso e sempre che ci siano le competenze per farlo, intervenire legislativamente per imporre nei consigli di amministrazione delle banche un buon mix di professionalità e competenze, tra cui, perché no, quelle ambientali, o quelle sulla responsabilità sociale dell’impresa, competenze sociali, eccetera. Non perché il singolo consigliere possa influire sulle decisioni della banca, ma perché, nella logica della vigilanza, il consiglio di amministrazione agisce con il voto collegiale e per questo, nel rispetto della pluralità dell’informazione e delle competenze, è meglio un drappello di consiglieri con un ricco assortimento di esperienze e professionalità anziché un piccolo esercito di dieci avvocati.

2. Il secondo limite riguarda l’onorabilità professionale dei componenti della governance di una banca, finora valutata solo attraverso il certificato dei carichi pendenti. Un passo in più rispetto al casellario giudiziale si deve fare. Una buona reputazione può essere sicuramente evidenziata dal curriculum o da soggetti terzi. Ma impariamoli a leggerli questi cv! E se vedi che un manager ha già affossato due banche, devi fermarne la capacità di fare danni! Stop.

Purtroppo in Italia sappiamo come funzionano certe cose. Si preferisce appiattire tutto verso il basso. I bravi e i competenti vanno allontanati, marginalizzati, esclusi perché alterano, “sovvertono” il sistema. Che ha le sue regole inamovibili. Per esempio forse servirebbe valutare se questa persona ha manifestato in passato attitudini che la rendano degna del compito, se ha esperienze nel non profit, o se è riconosciuta positivamente dalla comunità professionale internazionale, in una cerchia territoriale, dai suoi conoscenti.

Il decreto Carige non è un provvedimento salva banche ma, contrariamente a quanto affermano i rappresentanti del governo, si tratta dell’ennesimo strumento “salva banchieri incompetenti e inefficienti”. A quando il prossimo morto da piangere? Da Genova è tutto. A voi Bari.

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