Il presidente francese Emmanuele Macron ha perso anche il suo consulente della comunicazione e speechwriter (autore dei suoi discorsi) Sylvain Fort. Non un collaboratore qualunque, ma un Macron boy, ovvero un fedelissimo della prima ora, capo della comunicazione del movimento En marche! nella gloriosa e riuscitissima campagna elettorale che nel 2017 ha portato Macron all’Eliseo con un forte consenso internazionale.

Cosa significa per un uomo politico – in Francia come in Italia – perdere il proprio portavoce?

Da consulente in comunicazione politica e speechwriter vi posso garantire, parlando per esperienza personale e per quanto visto nei palazzi della politica, che i possibili motivi di una rottura dopo anni di collaborazione sono tre. Escludiamo quindi l’incompetenza, altrimenti la collaborazione non sarebbe durata a lungo.

Fort parla di generici “motivi personali” spiegando che desidera “orientarsi verso altri progetti professionali e personali”. Un classico modo di uscire quando si vuole mantenere una carriera nel settore politico. Attaccare il presidente significherebbe perdere la fiducia di qualsiasi altro potenziale cliente. In questo lavoro il profilo basso, che Fort ha sempre mantenuto, premia sempre. Niente interviste, posti in prima fila o protagonismi di ogni genere. Solo così ti guadagni la stima di tutte le forze politiche del Paese. Se ti trasformi in una prima donna, allora quando il tuo partito ti scaricherà oppure quando fallirà, tu resterai a spasso.

Uno dei tre momenti in cui si rompe un rapporto fra comunicatore e politico è quando quest’ultimo non ascolta più il consigliere e fa sempre e solo di testa sua. Questo avviene spesso quando il politico è in crisi (come Macron oggi) e inizia ad incolpare gli altri per il calo di consensi. Nei momenti di panico si perde la lucidità, non ci si ricorda più che se si è arrivati a quel punto è anche grazie al comunicatore, e allora si comincia a non ascoltarlo. A quel punto o è il consulente a lasciare perché se ha una reputazione non vuole prendersi la responsabilità degli errori del politico, oppure è il politico a licenziarlo perché ritiene di doverlo cambiare.

Il secondo motivo di rottura è quando il politico ritiene, dopo anni di esperienza, di saperne più del proprio consulente in termini di comunicazione. Questo non avviene ad alti livelli, perché un presidente o un ministro hanno bisogno di interi staff che si occupino della comunicazione, data la grande mole di lavoro. Ma parlamentari di poca fama, consiglieri regionali e comunali possono cadere nell’illusione di riuscire a gestire da sé i rapporti coi media, i discorsi e le uscite sui social network.

Spesso, quando se ne rende conto, il politico richiama il comunicatore. A quel punto è il consulente a scegliere se accettare nuovamente l’incarico o no.

Il terzo scenario è quello del tradimento. Il politico si fa incantare da un nuovo guru che non lo contraddice e che critica il lavoro del comunicatore attuale, magari dando ad esso la colpa del calo di consensi. Il politico inizia magari affiancando il nuovo uomo dei miracoli al portavoce esistente, finché non scatta il licenziamento del vecchio consulente e parte la sostituzione. Questo capita soprattutto dopo che un politico raggiunge cariche importanti. Probabilmente una cosa simile accadde quando Matteo Renzi scelse di affidare al guru di Obama, Jim Messina, la campagna per il referendum costituzionale del 2016.

Quali problemi comporta per un politico cambiare il comunicatore?

Se il nuovo portavoce è un vero esperto e il politico lo ascolta – la difficoltà più grande sarà quella di mantenere una certa coerenza comunicativa che è fondamentale ai fini della fiducia. Ultimamente, rimanendo sul caso di Macron, questa coerenza è mancata. Il suo dinamismo, la sua energia e sicurezza hanno vacillato in varie occasioni, sia durante il caso Benalla (prima del quale avvenne il primo allontanamento di Fort, poi richiamato proprio a causa delle difficoltà nella gestione di quella crisi) sia in queste settimane di proteste dei Gilet gialli nei confronti dei quali non ha mai mantenuto un atteggiamento costante.

Se il politico resta invece per un periodo di tempo senza un vero capo della comunicazione, facendosi affiancare da semplici collaboratori senza potere decisionale, oppure se si avvale di un semplice yes man o di qualcuno con cui non ha ancora una relazione forte basata sulla fiducia (cosa normale nei primi tempi) andrà incontro a molte difficoltà.

I pericoli più grandi sono quello di agire sull’emotività, mentre un consulente che osserva dall’esterno sa valutare le conseguenze mediatiche e di consenso delle tue uscite; rischio di improvvisazione con pericolo di gaffe ed errori gravi, dato il poco tempo a disposizione per preparare gli interventi che prima si delegavano; comunicazione debole, insicura, data dalla paura di sbagliare, mentre se hai chi ti consiglia con competenza acquisisci più sicurezza nelle tue uscite.

Questa è una situazione negativa per Macron e per qualsiasi politico. Oggi, più di ieri, la comunicazione è una parte fondamentale della politica a tutti livelli. Sottovalutare l’apporto di un vero professionista e di tutte queste dinamiche è il vero motivo del fallimento di molti uomini e donne della politica italiana ed estera.

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