Sant’Ambrogio di bronzo. Première di Attila alla Scala con parata di gente senza pudore. A incominciare dal ministro Bonisoli. Già, perché ci vuole un bel coraggio a presentarsi in smoking e pallietes, a sfruttare il trionfo della Scala per buttare sotto il tappeto il disastro della lirica italiana, del quale gli stessi portatori di abitini da sera sono i primi responsabili. Coincidenza non inutile né casuale: proprio mentre Milena Gabanelli, sul Corriere, mostrava in quale voragine di debiti pubblici sta affogando la lirica italiana, i fiori e i velluti rossi del Piermarini ostentati in mondovisione non riuscivano a nascondere il disastro, la mala gestione strutturale, la distruzione del patrimonio artistico e musicale, per il quale di riffa o di raffa il ministero dei Beni Culturali e la sua coorte di politici interessati sono i primi responsabili.

Già, ma a chi interessa veramente la cultura in Italia? A chi interessa veramente il mondo della musica classica, lirica, sinfonica, del balletto, dei teatri? A nessuno. Meglio, a molti ma in senso opposto agli interessi della cultura, della musica etc. Quando c’è da mangiare, quando c’è da distribuire cariche, quando c’è da fare sfoggio di abitini, è la ressa di personaggi che contano. Quando invece si tratta di fare il proprio dovere, perché lo straordinario patrimonio che l’Italia ha creato di musica e musicisti possa essere trasferito anche ai nostri figli, nulla di nulla. I risultati sono quelli che, grazie alla Gabanelli, in molti hanno potuto leggere.

Eppure, perfino Natalia Aspesi (cronaca mondana) s’è resa conto che la cultura non è solo cultura, che nulla come la cultura aiuterebbe il nostro Paese a essere più giusto, più ricco, più equilibrato, più democratico. Basterebbe andare a vedere come hanno fatto a Berlino. Quando in futuro qualcuno scriverà una storia del ruolo culturale delle classi dirigenti italiane tra la fine del XX e gli inizi del XXI secolo, sarà chiaro che questa classe dirigente, tutta questa classe dirigente (per essere chiari almeno da Fisichella a Bonisoli) ha fatto per la cultura, la musica, l’arte e il teatro meno, molto meno, del Duce, che pure in quanto a democrazia non era certo un maestro. Pochi soldi e spesi malissimo.

Limitiamoci un po’ alla lirica. Tutti si riempiono la bocca con il dire che è la bandiera dell’Italia. Poi i Conservatori sono alla fame. Le poche orchestre stabili sono a rischio chiusura. Il merito dei lavoratori, dei musicisti, dei cantanti e dei ballerini non è considerato. Chi può va all’estero. La Rai, servizio televisivo pubblico, che fa? A parte relegare la lirica e la musica sinfonica in orari inguardabili con la scusa degli ascolti, in genere, quando si occupa di musica sostiene trasmissioni che più che altro fanno parte del sistema collusivo presente, fingendo di parlare solo di musica e ignorando che la musica non esisterà mai più, se prima non abbatteremo il sistema attuale che la gestisce in maniera così dissennata.

Tanto per scendere nello specifico, ad esempio, la situazione di Verona è emblematica. Il più grande e più bell’anfiteatro al mondo: 25 milioni garantiti di entrate per meno di 50 rappresentazioni. Eppure, una voragine di debiti che non accenna a diminuire. Come può accadere? Semplice. Basta mettere al comando delle persone perfettamente incompetenti, in ogni caso gente che non obbedisca alle proprie convinzioni professionali, ma solo agli ordini e agli interessi della politica, et voilà il gioco è fatto: debiti e livello artistico da piangere, che consenta a molti altri (artisti scassatissimi ma raccomandati, fornitori amici, consulenti utilissimi, dirigenti incapaci) di trarre guadagno individuale dalle disgrazie collettive.

Recentemente la Fondazione Arena pareva risollevarsi dal baratro in cui l’aveva condotta il sindaco Tosi, che ne aveva chiesto addirittura la liquidazione, per poter consegnare il festival estivo nelle mani di privati, che si sarebbero impossessati della carcassa spolpata dell’Arena, per costruire sui debiti che essi stessi aveva contribuito a creare, una bella SpA dalle grandi prospettive di profitto (e dalle irrilevanti ambizioni culturali). All’inizio del 2018 poi i fondi della legge Bray raggiunti grazie a un piano di rientro commissariale, avrebbero dovuto consentire di ripartire. Ma i nuovi e attuali responsabili della Fondazione, evidentemente, avevano altri programmi, e ora siamo punto a capo.

A difendere la Fondazione sono rimasti solo i lavoratori, che in questi giorni sono costretti a scendere in sciopero per far capire a chi di dovere che bisogna intervenire, per dare alla Fondazione un gruppo di dirigenti finalmente adeguato. E finora il ministro Bonisoli (il nuovo che avanza?), che contribuisce con i soldi pubblici in maniera egemone ai bilanci della Fondazione, non ha dato segni di vita, sta a guardare le recite che saltano, il cartellone che manca, i soci locali che non partecipano, mentre avrebbe già dovuto mandare un commissario, visto che i veronesi, ormai da più di 10 anni non riescono a nominare qualcuno che risolva e faccia ripartire la più bella e la potenzialmente più ricca tra le fondazioni lirico sinfoniche italiane. Purtroppo, la malagestione della musica e della cultura in Italia non è uno sbaglio, un incidente e nemmeno il frutto dell’ignoranza. È il risultato deliberato di interessi (privati) molto precisi e individuabili. Questo, Milena Gabanelli non l’ha detto, ma è così.

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