Cancellare il vincolo sui fondi per curare gli stranieri non iscritti al Servizio sanitario nazionalecome previsto dall’emendamento Lega-M5s alla legge di Bilancio approvato in commissione Bilancio della Camera – è di fatto una risposta a “una richiesta storica delle Regioni rispetto alla semplificazione delle procedure di spesa”, precisa Sergio Venturi, assessore alla Sanità dell’Emilia Romagna (leggi). Una richiesta già messa nero su bianco nell’accordo in materia di sanità sottoscritto sabato 1 dicembre a Palazzo Chigi tra le Regioni e il governo. Ed è stato Venturi (che è anche presidente del Comitato di settore Regioni-Sanità) a firmarlo, su delega del presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini.

La quota di oltre 30 milioni finora vincolata a garantire l’assistenza sanitaria agli immigrati irregolari dovrà quindi confluire nel fondo sanitario indistinto del fabbisogno sanitario nazionale (quello per coprire i Lea, per intenderci). Come anche l’importo, sempre da 30 milioni, destinato al pagamento dell’indennità di esclusività di rapporto per i medici dipendenti del Ssn. La richiesta delle regioni, avanzata a più riprese da almeno tre anni, nasce dall’esigenza “di poter disporre di tutte le risorse, sia indistinte che vincolate, all’atto del riparto del fondo sanitario all’inizio dell’anno, e quindi in modo tempestivo – ci spiega Venturi -. Il problema delle quote vincolate, infatti, è che le relative disponibilità arrivano anche con due anni di ritardo e quindi la regione si trova a dover ogni volta anticipare le risorse con conseguenti disagi”.

Ma gli obblighi sul fronte dell’assistenza non cambieranno. “Il trasferimento di quei soldi nel fondo indistinto non eliminerà il dovere per le regioni di prestare assistenza sanitaria agli stranieri non iscritti al Ssn”, assicura l’assessore. Dovere stabilito all’articolo 35 del Testo unico sull’immigrazione (d. lgs 286/1998). Il fondo per le cure degli stranieri irregolari serve a finanziare gli interventi di prima assistenza durante il percorso di accoglienza nel nostro Paese, e tutte le prestazioni di urgenza nei pronto soccorso e nei consultori, soprattutto per le donne in gravidanza.

Ora che con il decreto sicurezza aumenteranno presumibilmente gli stranieri irregolari, ci saranno ricadute per le regioni. Ma è ancora presto per fare i conti. La Regione Lazio aveva già messo le mani in avanti. Con una delibera di metà ottobre la giunta Zingaretti ha approvato una delibera che consente “la concreta applicazione delle norme nazionali e regionali in materia di accoglienza e tutela sanitaria per i richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria”. La delibera, aveva sottolineato l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato, dà “precise indicazioni alle Asl e informazioni utili agli operatori dei Centri di accoglienza”. Oggi però rischia di cadere. “La scelta di cancellare l’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo – ha aggiunto Zingaretti riferendosi al dl sicurezza – potrebbe significare anche l’esclusione dai servizi sanitari per migliaia di persone, con tutti i rischi per la salute che ne comporta”.

Mentre in Lombardia, che ha il più alto numero di migranti nelle varie strutture di accoglienza, proprio ieri la commissione Bilancio nella manovra finanziaria regionale ha abrogato la legge del 1988 su “Interventi a tutela degli immigrati extracomunitari in Lombardia e delle loro famiglie”, che forniva risorse ai comuni per l’accoglienza. “Il salvinismo passa sui territori come un rullo compressore – è il commento del capogruppo Pd in Regione, Fabio Pizzul -. È evidente che la ragione addotta dalla giunta Fontana, cioè che la legge non è finanziata da anni, è solo una scusa. Ci sono Comuni che fanno grandi sforzi per togliere i migranti dalla strada e la Regione gli chiude le porte in faccia”.

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