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Addio al partigiano Enrico Angelini. A 90 anni cancellò una svastica: “Vorrei vedere gli autori per raccontare la mia storia”

Appartenente alla Brigata Garibaldi, aveva combattuto nazisti e fascisti sulle montagne di Foligno. Nel 1944 scampò a un rastrellamento che portò alla catture di 24 compagni, molti dei quali morirono a Mauthausen
Addio al partigiano Enrico Angelini. A 90 anni cancellò una svastica: “Vorrei vedere gli autori per raccontare la mia storia”
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Neanche in vecchiaia, neanche negli ultimi anni di vita, aveva ceduto di un centimetro. Come nel 2015, quando aveva cancellato personalmente una svastica da una targa in ricordo dei combattenti della lotta antifascista alla cascina Radicosa, tra Trevi e la sua Foligno, in Umbria, ricevendo anche l’apprezzamento dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Oggi Enrico Angelini, partigiano, è morto a 93 anni: era nato il 17 marzo del 1925 e faceva parte della Brigata Garibaldi che aveva combattuto i nazisti e i fascisti sulle montagne folignati. Tra il 2 e il 3 febbraio del 1944 era scampato miracolosamente al rastrellamento nazista che portò alla cattura sulle montagne tra Foligno e Trevi, di 24 giovani partigiani, molti dei quali trovarono la morte nel campo di concentramento di Mauthausen. Il sindaco di Foligno Nando Mismetti ha espresso il cordoglio a nome dell’amministrazione. “Enrico – ha detto – è stato un esempio di sacrificio e di lotta per gli ideali di libertà e democrazia e di rispetto assoluto per la nostra Costituzione”.

Quando nel 2015 i giornali scoprirono il suo gesto (la cancellazione solitaria della svastica), rispose così: “Di cuore vi dico che mi piacerebbe incontrarli questi ragazzi, parlargli, non ho paura di loro. Vorrei spiegare che cosa è stata la mia gioventù rispetto a quella che stanno vivendo loro”.  Anche per poter raccontare che “in quella cascina fra le montagne, dove si riunì la prima Brigata Garibaldi, tre miei amici furono catturati e morirono nel lager di Mathausen. Io scampai miracolosamente al rastrellamento. Torno spesso in questi luoghi, perché mi ricordano l’infanzia. Queste cose non devono succedere”.

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