Il titolo volava a Piazza Affari e in Via Antonio Nibby 20, a Roma, si stappò lo spumante, quel 21 maggio 2008. Quella mattina il governo Berlusconi aveva presentato alla Camera un emendamento che sbloccava la convenzione stipulata 7 mesi prima tra Autostrade per l’Italia e l’Anas. Pochi minuti dopo le azioni di Atlantia, della cui galassia fa parte Aspi, erano schizzate ai massimi da 5 anni perché la norma dava il via libera all’aumento delle tariffe autostradali. Otto giorni dopo l’aula approvava la modifica e a votare a favore tra i banchi della Lega Nord c’era anche Matteo Salvini che oggi,  immediatamente dopo il crollo del Ponte Morandi ha puntato il dito contro la concessionaria accusandola di non non aver effettuato i dovuti controllo pur essendo una “società privata che guadagna miliardi facendo pagare uno dei pedaggi più cari d’Europa”.

A ricordare l’episodio è stata domenica sera Debora Serracchiani: “Nel 2008 Matteo Salvini (che fu deputato per un anno prima di optare per un seggio al parlamento Europeo, ndr) votò a favore del cosiddetto ‘Salva Benetton‘, che diede al gruppo le concessioni molto vantaggiose per Autostrade. Governava con Berlusconi. Ora non se lo ricorda più? Meglio rinfrescargli la memoria”, twittava l’ex governatrice Pd del Friuli, riportando lo screenshot della votazione per la conversione in legge del decreto legge 8 aprile 2008 sulle disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia Ue.

Quel 21 maggio il solo ingresso dell’emendamento a Montecitorio aveva scatenato una gioiosa effervescenza sul titolo in Borsa. A fine giornata Atlantia aveva totalizzato un +7,6% a Piazza Affari, con la singola azione che toccava quota 22,71 euro: il maggior rialzo messo a segno dall’azienda da 5 anni e mezzo a quella parte, con la capitalizzazione del gruppo che lievitava a 13 miliardi di euro. Un’euforia che contagiava Fabrizio Palenzona, presidente di Aiscat: “L’emendamento dimostra la volontà del nuovo esecutivo di voltare pagina – esultava il presidente dell’associazione che riunisce le concessionarie – e di puntare allo sviluppo delle infrastrutture nell’interesse del nostro Paese”.

Negli otto giorni successivi le opposizioni ingaggiarono battaglia tra i banchi di Montecitorio. “Non si può far sì che l’Anas decida da sola a chi dare in concessione un bene dello Stato”, diceva l’ex ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, autore della riforma del settore con il precedente governo Prodi ma strenuo oppositore della modifica voluta dall’esecutivo Berlusconi, che consentiva di approvare la convenzione alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, ovvero senza passare dal Cipe. E che secondo le opposizioni altro non era che un do ut des con il gruppo Benetton: la possibilità di aumentare i pedaggi autostradali in cambio di un intervento finanziario nella cordata Alitalia, allora sull’orlo del fallimento.

Il 28 maggio arrivò l’ok: i 195 no del Pd e i 27 dell’Udc nulla poterono contro i 225 sì del Pdl e i 50 della Lega Nord. Tra i quali figurava il voto favorevole di Matteo Salvini. Quel giorno l’attesa dell’aumento dei pedaggi e la riduzione dei rischi regolatori per Atlantia lanciarono ancora una volta il titolo, che chiuse le transazioni con un guadagno dell’1,55%, a quota 22,98 euro. Le opposizioni continuarono a protestare e il 5 luglio l’Antitrust bocciò le modifiche alla convenzione perché “penalizzano i consumatori“. Ma il gioco era fatto: rimandati per tre mesi da decreto anticrisi, ad aprile 2009 scattarono gli aumenti delle tariffe: quelli di Autostrade per l’Italia toccavano il 2,40%. Oggi Salvini ha buon gioco a chiedere il Pd di stare in silenzio perché “hanno governato per anni” e a definire Autostrade una “società privata che guadagna miliardi facendo pagare uno dei pedaggi più cari d’Europa“. Quello che dimentica è che lo fa anche grazie a lui.

@marco_pasciuti

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Ponte Morandi, quando Pdl e Lega approvarono il “salva Benetton”. Applausi alla Camera, Di Pietro furibondo

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