Poi alla fine, non sono le 200 persone buttate per strada nel caldo torrido romano; questo non interessa nessuno. Ciò che conta è come si è saputo comunicare all’esterno lo sgombero del campo rom di Camping River, a Roma. E’ fuori discussione: è sulla narrazione della sua genesi, della sua giustificazione e della sua necessità che il Campidoglio ha vinto la sua battaglia. Interviste, video e un paio di post sui social al momento giusto ed ecco che il tragico allontanamento di sessanta famiglie dalle loro abitazioni è diventato la battaglia vinta contro il degrado, l’illegalità, i roghi tossici. Addirittura contro l’Europa che non rispetta la sovranità nazionale.

Poi se la realtà è un’altra e se a pagare il prezzo della propaganda sono i poveracci di via Tiberina, pazienza. In fondo non è la prima volta che accade. Anche la Giunta Raggi ha capito che non importa ciò che fai ma come, e soprattutto cosa racconti. Sapendo che anche davanti ad un’informazione falsa o un numero inesatto, la smentita avrà sempre e comunque tempi ampi e spazi compressi per sopravvivere alle reazioni suscitate dalla prima notizia. Che ormai sarà diventata virale.

Primo esempio. La “terza via”. E’ un’espressione coniata da poche settimane nelle stanze di Palazzo Senatorio e da quel giorno ripetuto in ogni intervista da qualsiasi rappresentante istituzionale quando deve parlare di “questioni rom” a Roma. Né sgomberi, né assistenzialismo: adesso c’è la “terza via”, il cui canale privilegiato ha un nome: rimpatrio assistito. Ed ecco che il 20 luglio spunta un video girato negli uffici comunali. Una coppia di rumeni (lei a volto coperto) ringrazia timidamente la sindaca per l’aiuto ottenuto nel tornare in Romania. «Vogliamo dimostrare che terza via è effettivamente possibile», ripete la sindaca presentando il video. Arriva tardi chi si dilata nella spiegazione, troppo lunga e di scarso appeal, che i cittadini comunitari presenti nei campi romani, gli unici che potrebbero rimpatriare, rappresentano solo il 15% della popolazione totale e che già il sindaco Veltroni ci aveva provato nel 2007 con gli stessi strumenti ed i medesimi fallimentari risultati.

Secondo esempio. Allarme igienico-sanitario. E’ quello che scatenato l’Ordinanza sindacale che ha giustificato lo sgombero entro 48 ore dalla sua notifica. “Vi allontaniamo dalle vostre case – è stato spiegato agli abitanti – per la tutela della vostra salute”. Anche in questo caso, nessun impatto per l’articolata narrazione: «E’ stato il Comune a decidere il 30 giugno di sospendere l’erogazione dell’acqua e a chiudere le utenze. Una settimana prima era stato sempre il Comune a distruggere una cinquantina di moduli abitativi lasciando le persone per strada» .- come ha sostenuto la nostra associazione presentando ricorso alla Cedu.

“Allarme igienico-sanitario” è lo slogan vincente ed inquietante, che rimanda a pericoli, a contagi, a pestilenze, a untori da allontanare.

Terzo esempio. La cattiva Europa. Il 23 luglio la Corte Europea per i Diritti dell’uomo sospende lo sgombero organizzato per lo stesso giorno, decidendo di rimandare la decisione al 27 luglio, al fine di leggere le carte e approfondire la questione. «Ci mancava il buonismo della Corte Europea per i diritti dei rom», il commento sarcastico di Matteo Salvini sui social. Il giorno dopo, accompagnato dalla sindaca Raggi rincara la dose: «Strasburgo non fermerà la legalità». Poche parole per spostare il problema da Camping River ad un’Europa cattiva e prepotente che attenta alla sovranità nazionale. Dopo lo sgombero del 26 luglio, realizzato in barba alla decisione della Corte di Strasburgo, la sindaca scrive: «La Corte Europea ci dà ragione».

Troppo lunga la contro narrazione che c’è poco da celebrare, visto che è stata solo sospesa la misura ad interim relativa allo sgombero perché che lo stesso è stato già effettuato. La verità è che il ricorso, promosso da tre ricorrenti del campo, è ancora pendente come una spada di Damocle sull’Amministrazione perché si apre alla violazione di gravi articoli.

Tre slogan per raccontare una realtà virtuale, menzognera, semplificata all’osso. Che però è vincente perché compressa in uno slogan pubblicitario, accattivante come un dolce proibito, e soprattutto rispondente a ciò che la persona comune vuole ascoltare. Una realtà che copre omissioni e incapacità, che si compiace di se stessa. E che si materializza nella navetta della Polizia che, il giorno dopo lo sgombero, accompagna i giornalisti accreditati nel visitare le macerie del Camping River. Il campo dove l’unica cosa tossica non sono stati i roghi – mai registrati in quell’insediamento – ma la narrazione di uno Stato che fa propaganda.

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